Sorpresa
buzzatiana
Quando Latti mi ha detto di aver comprato un
romanzo di Buzzati che non conoscevo, la mia autostima ha vacillato. Buzzati è
uno dei miei grandi amori, ho anche scritto la tesi triennale su di lui.
Anche partendo dal presupposto che, come dicono
tutti, il Buzzati migliore è quello dei racconti, possibile che mi sia persa un
suo romanzo? Ne ha scritti tre, lasciarsene sfuggire uno è abbastanza grave,
no?
Superato lo choc della mia devastante ignoranza, ovviamente,
mi sono fiondata su Il grande ritratto.
In effetti, Il
grande ritratto combina alcuni aspetti degli altri due romanzi. Non a caso, è stato scritto nel 1960, dopo
Il deserto dei Tartari (1940), ma
prima di Un amore (1963).
Come nel Deserto
dei Tartari, infatti, troviamo un
luogo avvolto nel mistero, a cui è legato il destino dell’uomo; e come nel Deserto dei Tartari c’è l’attesa, il
desiderio, nei protagonisti e nei lettori, di svelare il mistero, che poi è
sempre il mistero dell’uomo; come in Un
amore, invece, il protagonista è oppresso dall’amore per una donna capricciosa
e volubile; anche qui, nella relazione di coppia, l’altro sembra rimanere
sempre inafferrabile.
Ritrovare tutto questo è stata proprio una bella
sorpresa.
Detto ciò, senza volere giustificare in alcun modo
le mie lacune, ci sono dei motivi per cui Il
grande ritratto è rimasto quasi sconosciuto al grande pubblico.
Il problema è, sostanzialmente, la debolezza della
trama. Il libro è diviso in due parti: nella prima, al professor Ermanno Ismani
(un tipo timoroso ma competente e leale) viene ordinato di partire alla volta
una località ignota, per dedicarsi a un progetto misterioso ma cruciale per il
suo Paese e per il mondo intero. Questa sezione è molto vicina al Deserto dei Tartari: predominano il tema
dell’attesa e l’atmosfera di mistero, quasi da romanzo giallo.
Nella seconda parte, le cose cambiano
completamente: l’attenzione si sposta su Endriade, luminare inventore e
responsabile del progetto. Di Ismani non si sente quasi più parlare, e il
sentimento dell’attesa cede il posto a una angoscia più concreta, legata ai
limiti della scienza, e ai limiti dell’amore…
Il risultato è affascinante, ma molto confuso.
Tanti spunti, anche molto affascinanti. Per
citarne uno, Latti ci ha visto un riferimento al Mito della Caverna... Per me è
un po’ troppo, ma sicuramente il tema della conoscenza, e delle possibilità che
essa dà e toglie all’uomo, è centrale.
Diciamo che è un bel modo per ritrovare Buzzati; scoprire
un suo romanzo quando pensavi di sapere già tutto su di lui, è come sentire che
ha ancora una storia da raccontarti. Di certo, però, non è la sua storia più
riuscita.
Insomma, se dovete avvicinarvi a questo autore
straordinario, leggete Il deserto dei
Tartari, o, meglio ancora i racconti (La
boutique del mistero sarebbe il top, ma vanno bene tutte) J
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