mercoledì 19 marzo 2014

Recensione #50: Il conte di Montecristo

Le infinite meraviglie del Conte

Il triste giorno della recensione è arrivato.
Dico triste non tanto (o non solo) perché la mia pigrizia scalpita al pensiero della sana fatica che comporta il riordinare le idee a fine lettura, quanto per la fine della lettura in se stessa.
Ho ritardato questo momento quanto ho potuto. Dopo le prime forsennate settimane, ho decisamente rallentato il ritmo; negli ultimi giorni non leggevo praticamente più… la sola idea di abbandonare ll conte di Montecristo mi sembrava triste.
Siamo di fronte a un fenomeno piuttosto raro, almeno per me: in genere, la fretta di finire mi spinge a macinare le pagine senza pietà e senza scrupoli. Di solito - anche se mentre lo scrivo mi sembra stupido - non vedo l’ora di finire un libro per archiviarlo, metterlo tra i miei doveri compiuti, e passare ad altro.
Con il Conte, invece, è stato tutto diverso. Il Conte è stato una sorpresa continua.
Ed è così che vorrei costruire questa pagina, stasera. Scarto senza dubbio l’ipotesi di un’analisi approfondita (non ne sarei in grado, e in ogni caso non sarebbe questa la sede), per concentrarmi sui pregiudizi che questa lettura ha scardinato. Parlo troppo di me? Può darsi. Ma credo che anche il riflesso di un’opera sui suoi lettori possa in qualche modo illuminare l’opera stessa.

Innanzitutto, l’approccio. Mi sono avvicinata a Dumas con diversi pregiudizi. Nonostante l’appassionata sponsorizzazione di Latti, e la pur piacevole lettura di La regina Margot dell'estate scorsa, qualcosa dentro di me mi diceva che ll conte di Montecristo era un mattone troppo pesante per le mie forze. Che non avevo più l’età né il tempo per dedicarmi a un libro così alto, per di più in piena vita lavorativa. Che poi il romanzo ottocentesco ormai mi suona sempre un po’ datato, come i film in costume. Insomma, mi sono imbarcata nell’impresa certa che ci sarei rimasta impantanata per dei mesi. Come dicevo, avevo sbagliato su tutta la linea: le avventure di Edmond Dantès mi hanno completamente conquistato fin dalle prime pagine. 
Fin qui, niente di speciale: so bene di avere l’entusiasmo piuttosto facile (quanti libri acquistati dalla copertina…). Ma ahimè – chi mi conosce lo sa - la mia ira è davvero funesta quando a un inizio folgorante segue un intreccio zoppicante, quando la trama si sbrodola… Era facile aspettarsi qualcosa del genere da un malloppo come questo. Ma anche su questo fronte Dumas non mi ha deluso: le sue pagine sono puro intrattenimento, molto meglio dei telefilm. La trama è complessa e calcolata fino alla fine, il ritmo tiene perfettamente.
E c’è di più. Il Conte regala emozioni anche sul finale. Non solo perché – ormai l’abbiamo capito – Dumas è un maestro della narrazione e non cadrebbe mai nel banale errore di un colpo di scena, o peggio ancora, di una moraluccia pretenziosa. Sul finale, il tono si innalza. Non siamo più davanti alla travolgente avventura degli inizi, all'indignazione e alla tensione mirabilmente tenute vive per mille e passa pagine. Sul finale vediamo emergere la riflessione sull'uomo, che riesce a essere profonda senza dispensare verità da quattro soldi. Una riflessione che è credibile e per questo non cade nel moralismo.

E così, quando ormai sono completamente conquistata, quando ormai il Conte ha vinto ogni mia resistenza, mi ritrovo a salutarlo a bordo libro. Per questo, stavolta, il giorno della recensione è un giorno triste.