martedì 19 febbraio 2013

Recensione #37: Traditori di tutti


Secondo appuntamento con Duca

Dopo tante letture deludenti, mi sono rivolta a Scerbanenco come a un porto sicuro.
Al di là delle faticose peripezie per procurarmi Traditori di tutti, che comunque si sono risolte positivamente (e per questo vorrei ringraziare la biblioteca Sormani, che per una volta mi ha stupito per la sua efficienza) anche stavolta posso ritenermi soddisfatta.

Traditori di tutti è il secondo episodio della saga di Duca Lamberti. Dopo le avventure di Venere privata, troviamo il nostro protagonista mezzo medico-mezzo poliziotto alle prese con una faida di coppie annegate nei Navigli, che lo porta a scoprire un sordido traffico di armi, droga e quant’altro, e soprattutto a confrontarsi con un losco giro di “traditori di tutti”. Chi siano i traditori di tutti, lo dice la parola stessa. Sono individui abietti e senza scrupoli, che per il loro profitto sono pronti a sacrificare qualunque cosa. La trama, come sempre ben costruita, ne presenta esemplari di diversi sessi, nazionalità e generazioni. Come se il tradimento fosse una malattia virulenta, difficile da estirpare. Per uno come Duca, le cose stanno proprio così. Nel suo profilo etico altissimo, il tradimento e la bassezza non sono contemplati. Per lui, ogni azione ha un peso e una conseguenza, e chiunque sbaglia, prima di tutto, dovrebbe fare i conti con la sua coscienza.
Il problema è che, nella storia, l’unico personaggio disposto ad assumersi le sue responsabilità è la candida Susy Paany, una creatura così limpida da risultare “cretina”, un po’ come la Livia Ussaro di Venere privata.
E così, ancora una volta, il nostro protagonista smantella un traffico malavitoso, ma esce dalla sua avventura amareggiato, schiacciato dalla consapevolezza che, a pagare, ora della fine, sono sempre i più deboli. E che non c’è modo di arginare il male del mondo.

Cosa c’è di nuovo rispetto a Venere privata? Direi pochino, ma non fa niente. In fondo, quando si trova una formula che funziona, che bisogno c’è di stravolgerla?
Il personaggio di Duca è sempre lì, amaro e inflessibile. A tratti un po’ retorico e un po’ violento, ma glielo perdoniamo, perché in fondo è un’anima candida. Solo un po’ più convinto di fare il poliziotto, e un po’ più vicino al mondo della polizia, in cui tra l’altro troviamo personaggi simpaticissimi come Carrua e Mascaranti. Anche Milano è sempre lì. Milano corrotta e bellissima, in una primavera sorprendente. Una primavera che stride con tutto il male del mondo.
Lo stile è sempre convincente, stavolta l’autore non abusa nemmeno dei flashback, di cui mi ero lamentata in passato.
Forse, nonostante tutto, ho preferito Venere privata, perché era il primo. Stavolta sapevo bene cosa aspettarmi, ma se non altro non sono rimasta delusa... Non male per un sequel!

domenica 10 febbraio 2013

Recensione #36: Léonie

Una soap cartacea

Con la promozione di Amazon con cui mi sono procurata 1Q84 ho scaricato anche Léonie, di Sveva Casati Modigliani. Non che fossi particolarmente interessata a quest’opera… Anzi, diciamo che non avevo molta scelta. Però tant’è, finito il mattone giapponese, mi sono messa di impegno, e ho letto anche questo.

Premetto che non c’è molto da dire: Léonie è l’ennesima saga familiare scritta da una donna per donne, in cui le protagoniste (rigorosamente donne) sono tutte belle e soprattutto di animo nobile. Una noia mortale.
Nello specifico, l’autrice racconta le vicende di una famiglia di imprenditori brianzoli facoltosi ma anche candidamente onesti, dagli anni Trenta ad oggi. Il tentativo è quello di presentare questi personaggi come misteriosi e tormentati… Dico tentativo, perché i misteri e i tormenti sono un’altra cosa.
Prendiamo per esempio la protagonista: Léonie è una provincialotta francese, bellissima e intelligentissima, e pure di animo sensibile. Pur non avendo mai avuto famiglia, ha una fortissima vocazione materna; per questo, e non certo che opportunismo, si fa sposare da un ricco infelice; a questo punto, senza alcuna difficoltà, conquista lui e i suoi, sforna figli come se piovesse, si scopre geniale imprenditrice e trasforma la rubinetteria di famiglia in un’azienda avveniristica immune alla crisi; oltre a tutto ciò, ha il tempo di incontrare un amante una volta all’anno, perché suo marito non le ha detto tutto del suo passato, e lei, poverina, non si sente abbastanza amata, e pensa bene di rifugiarsi tra le braccia di un affascinante sconosciuto (che ovviamente la ama alla follia) nell’attesa che il marito tenebroso le confessi i suoi sentimenti. Insomma, quella che poteva essere un’ombra – per quanto inverosimile –  viene abilmente trasformata nell’ennesima noiosa declinazione del buon cuore di questa aspirante eroina ottocentesca.
Inutile dire che le drammatiche vicende dell’ultimo secolo di Storia qui non hanno alcun peso. I protagonisti non conoscono la politica né la contestazione, sono immuni ai condizionamenti del mondo… A quanto pare, l’onestà li preserva da ogni male.
Léonie non è un libro sgradevole, è un libro banale. Un libro che leggi per tenere impegnati gli occhi nel frastuono del tram del mattino.
Direi all’altezza delle recenti miniserie della Rai. Anzi, non mi stupirei di trovarla nel palinsesto della domenica sera dei prossimi mesi :)

giovedì 7 febbraio 2013

Recensione #35: 1Q84


Un gigante dalle gambe sottili

Se anche voi, come me, siete stati attirati dalla veste grafica pulita e dalla quarta di copertina accattivante di 1Q84, se anche voi avete preso in considerazione l’idea di acquistarlo, leggete con molta attenzione le prossime rquanto segue: QUALCUNO STA CERCANDO DI INGANNARVI.

Non sto parlando solo di quel burlone dell’autore (dei suoi imbrogli parleremo a tempo debito), ma soprattutto del suo editore italiano Einaudi. Perché? Perché Einaudi, nel promuovere il romanzo, si è “dimenticato” di dire che l’opera non finisce con i due libri di cui è composto il volume che ha riempito le librerie l’inverno scorso. Nossignore, i libri sono tre. In Giappone, logicamente, sono usciti in tre tomi distinti; in Italia invece no, perché noi siamo originali. Così abbiamo avuto prima i libri uno e due, e poi, l’ottobre scorso, è uscito il libro tre, del tutto inaspettato e tra l’altro mascherato da una copertina praticamente identica alla precedente. Insomma, una si imbarca con le migliori intenzioni in un’avventura giapponese da più di 700 pagine, e poi, quando pensa di esserne quasi venuta a capo, scopre da una qualunque insulsa vetrina di viale Montenero che per completare la sua fatica ne mancano ancora 500… ditemi voi se non è un inganno!

Ma probabilmente questo scherzetto editoriale mi sarebbe pesato molto meno se il romanzo mi fosse piaciuto. Voglio dire, se a dieci pagine dalla fine dell’Idiota, avessi scoperto che ne esisteva il seguito, quasi sicuramente avrei pianto di gioia. Invece completerò questa verbosa trilogia per il bisogno di simmetria che ho ereditato da mia madre e per il senso del dovere che mi viene da mio padre… Ben poco a che vedere con i piaceri della lettura.
Covavo il desiderio di leggere 1Q84 fin dai tempi dell’Arte di correre e di Tutti i figli di Dio danzano. Gli avevo fatto la corte a lungo, nella libreria in cui lavoravo, senza risolvermi a comprarlo, perché era molto alto e molto costoso… Quando però a Natale mi si è presentata la possibilità di averlo gratis (meravigliose promozioni di Amazon), non ci ho pensato due volte: l’ho caricato nel mio Kindle, e gli ho consacrato quasi un mese di stressanti spostamenti in tram.
Devo dire che la lettura non è faticosa, né spiacevole: è vero, ho incontrato stili più appassionanti, ma potrebbe anche essere un problema di traduzione. O magari di distanza culturale: che ne so io, magari ai giapponesi queste descrizioni minuziose di cose inutili piacciono, chi sono io per giudicare?  È vero anche che certe insistenze su dettagli erotici mi sembrano gratuite, e che in diversi casi ho avuto l’impressione di stare guardando i cartoni animati della mia preadolescenza, o peggio, di ritrovare tutti gli stereotipi più squallidi sui giapponesi (il delirio alienante della metropoli; l’uomo maturo che si innamora della ragazzina provocante; la scena d’amore con i petali di ciliegio nell’aria; il silenzio che vale più di mille parole…). Tutto vero, ma se fosse solo questo, sarebbe un romanzo mediocre come un altro.
Invece in 1Q84 c’è molto di più. Innanzitutto, c’è la pretesa di scrivere una grande opera, e di inserirla a pieno titolo nella tradizione letteraria. A questo proposito, abbondano le citazioni; una su tutte, quella al celebre romanzo di Orwell, a cui l’autore offre un omaggio esplicito fin dal titolo. Anche i temi sono grandi classici: il doppio, il personaggio, il nodo arte-vita… Sembra quasi di parlare di Pirandello! Ma, a differenza di Pirandello, Murakami non ha il senso del limite, e trasforma il suo romanzo in un delirio di onnipotenza. Il risultato è una lenta agonia, oltre che una fastidiosa delusione: all’inizio la trama è intrigante, e stimola il lettore a formulare teorie per far tornare i conti. Verso la fine del libro uno, però, si comincia a dubitare che tutte le domande troveranno una risposta… E i sospetti si confermano tristemente nel libro due.

Insomma, non posso ancora esprimere un parere definitivo, e spero vivamente di ricredermi, ma credo proprio che anche Murakami sia stato contagiato dalla sindrome di J.J. Abrams, meglio conosciuta come sindrome di Lost, che, come è noto, colpisce tutti gli autori che si lasciano trascinare da una bella intuizione, ma non sanno darle senso e respiro in una struttura solida. E al lettore non regalano altro che l'ennesimo elefante dalle gambe sottili.