lunedì 18 aprile 2016

Purity: recensione #72

Purity, o della Purezza
Da quando è nato Michele, mi sono chiesta molte volte quale libro sarebbe riuscito a distogliermi dalla pigrizia mentale – perfettamente giustificabile e quindi massimamente subdola – della maternità e convincermi a scrivere. 
In qualche modo ero convinta che a salvarmi sarebbe stato quel gigante di Jonathan Franzen. Le sue Correzioni (di cui avevo scritto qui) sono state forse il mio romanzo preferito degli ultimi anni. E Libertà, anche se un po’ più faticoso, ha saputo tenermi incollata per interi pomeriggi elbani, incurante di marito, suoceri e perfino dell’abbronzatura (ok forse dell’abbronzatura no, non esageriamo). 
I suoi tremendi personaggi sono capaci di mettere a nudo le più inconfessabili bassezze dell’animo umano, di rivelare le trappole e la forza e la bellezza delle relazioni, di creare identificazioni potentissime. Franzen racconta delle storie che sembrano scritte per te, che non ti lasciano scampo. Franzen è uno che ti conquista.

Così, appena è uscito Purity in italiano (non ho osato avventurarmi nell’inglese), mi sono affrettata ad acquistarlo e a divorarne i primi capitoli, ricavando spazi di lettura prima impensabili, spingendo il passeggino al parco, durante le estenuanti poppate notturne. Insomma, fino a un certo punto tutto è andato come mi aspettavo. Ma verso la metà, esaurito l’entusiasmo rimastomi addosso da Le Correzioni, mi sono accorta che stavo perdendo lo slancio. Che per qualche ragione Purity non era all’altezza della situazione.
Cosa non ha funzionato?
Per prima cosa, direi la troppa carne al fuoco. Il risvolto di copertina dell’edizione Einaudi recita: “l'autore di Le correzioni e Libertà dilata il tempo e lo spazio della sua narrazione - la Germania Est degli anni Ottanta, Philadelphia, Oakland, Denver, la Bolivia di oggi -, espande la galleria dei personaggi e moltiplica i protagonisti, diversifica le insidie con cui si devono misurare - dalla potenziale distruttività del ruolo genitoriale alla schiavitù dell'immagine, dalla corruttibilità delle idee forti alla guerra fra i sessi”. Tutto vero. E il risultato è sicuramente un’opera di “grande ambizione”. Il problema è che, nella foga di andare avanti e indietro nel tempo e nello spazio, all’inseguimento delle cause e dei perché dei suoi protagonisti, Franzen perde di incisività. Il contrasto tra i punti di vista dei suoi personaggi, le voci diverse e discordanti che raccontano lo stesso evento, sono sempre state uno dei suoi punti forti. Qui, invece, l’impressione è che l’espediente degeneri, si trasformi in schema, meccanismo abusato, ora della fine controproducente. 
Troppe storie, insomma. Ma anche troppe voci, e soprattutto troppi temi. In Purity non si parla solo di famiglia e di relazioni. Ci sono anche la condanna al mondo occidentale, al consumismo, alla velleità e alla cultura del controllo della società statunitense; una riflessione sulla tutela dell’ambiente, sul nucleare; una fortissima critica alla società dei media, che si vanta di portare "alla luce del sole" i segreti più incoffesabili, e che poi dei segreti stessi è schiava… niente che non ci sia anche nelle precedenti opere di Franzen. Stavolta, però, l’autore prende tutti questi argomenti decisamente di petto, riversando le sue opinioni in lunghi, moralisti soliloqui messi in bocca o in testa a qualche personaggio, che però nulla aggiungono al racconto. 
In questo orizzonte dogmatico trova posto anche la scelta del titolo, che è poi il nome della protagonista dell’opera. Purity, la Purezza. Con la P maiuscola, non tanto perché è un nome ma soprattutto perché è un valore. Un valore che i protagonisti dell’opera inseguono e tradiscono, ciascuno a modo suo. 
Ecco allora la fondamentale differenza tra questa e le precedenti opere di Franzen: qui la riflessione morale prende il sopravvento sulla statura dei personaggi, che in effetti perdono buona parte della loro forza, e si ritrovano schiacciati da una volontà autoriale diventata decisamente troppo ingombrante. A risentirne è anche la verosimiglianza della storia, ridotta a un complicato e poco credibile intrico di coincidenze perfettamente incastrate. 
Insomma, con Purity, Franzen ha creato un’enorme cassa di risonanza per le proprie convinzioni morali. Peccato che, così facendo, a noi lettori sia preclusa la bellezza che ci aspettavamo.