mercoledì 1 maggio 2013

Recensione #40: Una storia semplice


La semplicità del male

Interrompo il filo delle mie letture arretrate per aprire una parentesi su Leonardo Sciascia, a cui ho finalmente trovato il tempo di appassionarmi.
Ai tempi dell’università avevo letto e apprezzato Il cavaliere e la morte, ma poi, chissà perché, mi ero convinta che Sciascia potesse aspettare, che i suoi romanzi fossero interessanti ma ormai un po’ datati… Mi sbagliavo. Dopo le prime due pagine di Una storia semplice  avevo già cambiato idea.

Una telefonata alla polizia, un messaggio troncato, un apparente suicidio. Un brigadiere attento, carabinieri e poliziotti accecati dalla competizione. E ancora mafia, corruzione, droga, perfino Pirandello. Insomma, nonostante la brevità, la trama è degna di un romanzo vero e proprio. Tuttavia, l’opera  è costruita con tale raffinatezza da sembrare davvero Una storia semplice.               
Il segreto di questa magia? Lo stile.
È l’autore stesso presentarlo, mentre descrive le difficoltà incontrate dal protagonista nello scrivere in italiano:

“…Il brigadiere cominciò a fare il suo lavoro di osservazione, in funzione del rapporto scritto che gli toccava poi fare: compito piuttosto ingrato sempre, i suoi anni di scuola e le sue non frequenti letture non bastando a metterlo in confidenza con l’italiano. Ma, curiosamente, il fatto di dover scrivere delle cose che vedeva, l’angoscia quasi, dava alla sua mente una capacità di selezione, di scelta, di essenzialità per cui sensato ed acuto finiva con l’essere quel che poi nella rete dello scrivere restava. Così è forse degli scrittori italiani del meridione, siciliani in specie: nonostante il liceo, l’università e le tante letture.”

L’italiano come lingua straniera, dunque. Conoscenza addomesticata, ma mai sicura, che costringe lo scrittore siciliano ad uno stile scarno, controllato, limatissimo. Si percepisce quasi un disagio nella scrittura, come se Sciascia, proprio come il suo brigadiere, scrivendo fosse un po’ sulle spine, come se avesse paura di sbagliare.
Ma da questo sforzo il suo linguaggio, proprio come quello del brigadiere, esce sensato e acuto. E dona una impressionante lucidità alla trama, rendendo semplice una storia che semplice non è.
Parole come mafia, droga e corruzione non entrano mai nel testo, come se l’autore non sentisse il bisogno di nominarle. Come se fossero talmente note da risultare pleonastiche.
È questa forse, infine, la chiave in cui leggere il titolo. Sciascia, amaramente, denuncia il male come se fosse una cosa semplice.