tag:blogger.com,1999:blog-18791946274309681892024-03-13T02:11:02.865+01:00NefelomanziaDiario di letture e nuvoleAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.comBlogger134125tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-53720394558765163502016-08-25T11:35:00.000+02:002016-08-25T11:35:22.668+02:00Il tuo posto è qui: recensione #78<div style="text-align: justify;">
<b><i>Il tuo posto è qui - This must be the place</i></b></div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-t_qa3eX40BI/V767b33lSvI/AAAAAAAACUM/iE76qzt60oEyzkmrmNWmpqiXm0YyFM4RACLcB/s1600/iltuoposto%25C3%25A8qui.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-t_qa3eX40BI/V767b33lSvI/AAAAAAAACUM/iE76qzt60oEyzkmrmNWmpqiXm0YyFM4RACLcB/s1600/iltuoposto%25C3%25A8qui.jpg" /></a></div>
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Anche quest’anno, forse in onore dei bei tempi andati, Laura mi ha prestato un romanzo per l’estate. Come già <i><a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2015/09/recensione-69-villette.html" target="_blank">Villette</a> </i>della scorsa stagione, anche <a href="http://www.guanda.it/libri/maggie-ofarrell-il-tuo-posto-e-qui-9788823515307/"><b><i>Il tuo posto è qui</i></b></a> di <b>Maggie O’Farrell</b> è un tomo piuttosto spesso, introdotto da un risvolto di copertina ingannevole. Un titolo vagamente sdolcinato, che purtroppo non tiene conto delle citazioni (almeno <a href="https://www.youtube.com/watch?v=rVoPzA0g3Ac">musicali</a> e <a href="https://www.youtube.com/watch?v=kJHjlgNh0K8">cinematografiche</a>) dell’originale <b><i>This must be the place</i></b>. </div>
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Forse si potrebbe cominciare a parlarne da qui, dalle somiglianze macroscopiche con il film di Sorrentino. Anche qui, in fondo, c’è un personaggio carismatico e non del tutto adulto che deve fare i conti con il proprio passato. Ma forse una citazione di questo tipo potrebbe creare delle false aspettative. Il romanzo della <b>O’Farrell</b>, in effetti, non ha niente dell’aria sospesa e surreale (per alcuni anche fastidiosa) del film. Al contrario: racconta una storia complessa e per certi aspetti rocambolesca in modo sobrio, lasciando volutamente molto – forse anche troppo – spazio ai fatti. </div>
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Ben diversa poi la costruzione dell’opera, che costituisce forse il vero tratto distintivo di <b><i>Il tuo posto è qui</i></b>. Il racconto è affidato infatti a tanti narratori diversi, che danno voce a frammenti ed episodi sparsi di un’unica grande storia. </div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-pBkPn1i9knA/V766_ySsLrI/AAAAAAAACUI/PDEPbP2gQXMbmd1WVipQ2q88XSXZCvU0wCEw/s1600/iltuoposto%25C3%25A8qui2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://1.bp.blogspot.com/-pBkPn1i9knA/V766_ySsLrI/AAAAAAAACUI/PDEPbP2gQXMbmd1WVipQ2q88XSXZCvU0wCEw/s320/iltuoposto%25C3%25A8qui2.jpg" width="320" /></a></div>
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Al centro della vicenda c’è Daniel, linguista carismatico e donnaiolo; una vita piena di “buchi e caverne”, figli, amori, sbagli e mancanze seminati un po’ in tutto il mondo. </div>
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Durante una delle cicliche crisi della sua vita, Daniel incontra e si innamora di Claudette, attrice e regista eccentrica in fuga dalla propria fama. La storia d’amore che li unisce diventa rapidamente il perno delle loro esistenze, l’orizzonte entro cui rileggere – e forse, finalmente, comprendere – il senso di infiniti e dolorosi episodi precedenti. </div>
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Ognuno di questi episodi – frammenti di storia sparpagliati nel tempo e nello spazio – viene affidato a un narratore diverso, che ha la possibilità di dire la sua, facendo valere il proprio punto di vista. Eppure, in tutte queste voci, il lettore cerca – e trova – sempre e solo i prodromi della storia tra Daniel e Claudette. Il quadro che ne risulta è mosso, complesso, appassionante. In questo senso direi che l’espediente della narrazione polifonica è indubbiamente riuscito. Tuttavia, a tratti, si ha l’impressione che l’autrice si sia fatta prendere la mano: voglio dire, a che scopo raccontare le vicende della madre di Daniel, avvenute ben prima che il protagonista nascesse? E ancora: ben vengano i salti temporali, ma perché svelare a metà del racconto, in modo totalmente gratuito, alcuni drammatici colpi di scena futuri? E poi: c’era davvero bisogno di affidare alcune parti di narrazione a lettere, interviste e altri documenti “originali”? Il risultato di tutte queste trovate è di disorientare il lettore, di colpirlo da tutte le parti e, ora della fine, di stancarlo…</div>
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Inoltre, credo che l’ambizioso tentativo di dar voce a quasi tutti i personaggi della storia avrebbe dovuto essere sostenuto da una più ampia varietà di stili e linguaggi (soprattutto visto che il protagonista nella vita fa il linguista, e quindi dovrebbe essere massimamente attento a questi aspetti): ogni narratore dovrebbe parlare una propria lingua ben riconoscibile. Questa dimensione è invece soltanto accennata e l’impressione, spesso, è che la pluralità dei narratori sia poco più che un trucchetto. </div>
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Quello che rimane, al netto di tutti questi sforzi per movimentare le cose, è una bella storia d’amore. Una buona cosa da leggere a fine estate.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-88827112939176990482016-08-14T16:47:00.002+02:002016-08-14T16:47:59.814+02:00Tina: recensione #77<b>L’estate dagli occhi di <i>Tina</i></b><br />
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<span style="text-align: justify;">Comincio a fidarmi di </span><b style="text-align: justify;">Alessio Torino</b><span style="text-align: justify;">. A considerarlo uno di cui leggere tutto. Un po’ come era successo con </span><b style="text-align: justify;"><i><a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2015/07/recensione-63-urbino-nebraska.html" target="_blank">Urbino, Nebraska</a></i></b><span style="text-align: justify;"> l’anno scorso, il suo </span><b style="text-align: justify;"><i>Tina</i></b><span style="text-align: justify;">, romanzo breve uscito a giugno per </span><b style="text-align: justify;">Minimum Fax</b><span style="text-align: justify;">, mi ha decisamente conquistato, e si è piazzato con prepotenza in testa alla mia personale classifica dei libri dell’estate. </span></div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-EbEslg8r3sg/V7CAmcU3KII/AAAAAAAACTE/C6uVqzM1WTEClGrNufAlN_WYI1Tu50lTQCLcB/s1600/tina_alessio_torino.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-EbEslg8r3sg/V7CAmcU3KII/AAAAAAAACTE/C6uVqzM1WTEClGrNufAlN_WYI1Tu50lTQCLcB/s1600/tina_alessio_torino.jpg" /></a></div>
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Estate. <b><i>Tina</i></b> parla proprio di questo. Non solo come tempo di vacanza, di vuoto, lontananza, pausa e quasi fuga. Ma anche come momento esatto, isolato e perfettamente identificabile, di passaggio.</div>
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La storia di <b>Tina</b> è confinata nella perfetta fugacità dell’estate, e nello spazio rigidamente circoscritto dell’isola di Pantelleria. Una realtà minuscola e preziosa, una comunità ristretta, a tratti pettegola – quasi asfittica – in cui operano gerarchie e regole tutte particolari. Un posto magico, in cui una bambina di otto anni che tutti scambiano per maschio può diventare amica di un aspirante separatista corso, riciclatosi sull’isola come ruspante ristoratore. Ma soprattutto un posto in cui quella bambina può trovare il coraggio e la forza di diventare grande. </div>
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La situazione di <b>Tina</b> in effetti non è facile: suo padre si è innamorato di una studentessa, con la quale è rimasto a Urbino. Così, lei, sua madre e sua sorella trascorrono le vacanze da sole, alternando dolore e rabbia alla voglia di godersi il mare. La crisi familiare ci viene raccontata attraverso lo sguardo della protagonista: uno sguardo ingenuo ma anche molto acuto, e soprattutto desideroso di capire. Uno sguardo che vede e percepisce molto più di quello che gli adulti si aspettano. </div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-oUcT2O_qzgc/V7B_DxSBa7I/AAAAAAAACS8/N-4K3zb-ga4hii-j0E5VK_AekNsPW1nSgCEw/s1600/tina_recensione.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-oUcT2O_qzgc/V7B_DxSBa7I/AAAAAAAACS8/N-4K3zb-ga4hii-j0E5VK_AekNsPW1nSgCEw/s320/tina_recensione.jpg" width="222" /></a></div>
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Dagli occhi di <b>Tina</b>, il mondo dei grandi ci appare confuso, un concentrato di vite variamente piegate dal dolore, in contrasto con la bellezza immobile di Pantelleria. </div>
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In questo groviglio, la bambina cerca coraggiosamente di orientarsi, destreggiandosi come può tra i segnali contrastanti mandati da sua madre e dagli altri personaggi che abitano sull’isola. Ognuno di loro sembra custodire un mistero, ognuno di loro ha qualcosa da insegnare.<br />
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<b>Alessio Torino</b> racconta in modo lucido e intelligente <b>Tina</b> e le sue scoperte, la crisi taciuta e soffocata, il dolore che infine sgorga. Servendosi di una lingua rarefatta ma semplice, lascia anche questa volta margine di interpretazione al lettore. <b>Tina</b> dice quello che vede, riflette su se stessa e sulla sua famiglia, ricorda, ascolta, cambia idea in modo estremamente fluido, credibile. </div>
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Mettere insieme i pezzi, cercare di ricostruire la storia e il contesto è invece compito nostro. E se a volte ci sembra di non aver capito tutto, di esserci persi qualcosa, è perché questa bambina di otto anni va già troppo veloce.<br />
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-86296089563702276002016-08-04T11:03:00.002+02:002016-08-04T11:03:41.452+02:00Penelope Poirot fa la cosa giusta: recensione #76<b><i>Penelope Poirot: aspirante investigatrice</i></b><div>
<b><i><br /></i></b><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-w1hfHhBwl2k/V6MEdiUjlsI/AAAAAAAACSY/a9-ldZ3hW9gEz8oz9ANQxhWoro125PeUACLcB/s1600/penelopepoirotfalacosagiusta2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-w1hfHhBwl2k/V6MEdiUjlsI/AAAAAAAACSY/a9-ldZ3hW9gEz8oz9ANQxhWoro125PeUACLcB/s1600/penelopepoirotfalacosagiusta2.jpg" /></a></div>
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Il mondo del mistery italiano ha una nuova eroina. È <b>Penelope Poirot</b>, nipote del celebre investigatore <b>Hercule Poirot</b> nato dalla penna di <b>Agatha Christie</b> nonché protagonista di una delle mie serie preferite di sempre. Poteva un personaggio simile non suscitare la mia irrefrenabile curiosità? Non poteva. Ma forse, per una volta, avrei fatto meglio a non soddisfarla. </div>
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<b><i><a href="https://www.amazon.it/Penelope-Poirot-fa-cosa-giusta/dp/8871687515/ref=cm_cr_arp_d_product_top?ie=UTF8" target="_blank">Penelope Poirot fa la cosa giusta</a></i></b> è il primo romanzo di una serie (al momento il secondo volume è in lavorazione) firmata <b>Becky Sharp</b> (pseudonimo di una traduttrice/critica letteraria italiana che preferisce mantenere segreta la propria identità) che ha come protagoniste la critica gastronomica e aspirante investigatrice dal cognome altisonante e la sua assistente Velma Hamilton, una donna che ha cercato fin da bambina di aderire il meglio possibile allo stereotipo della zitella inglese. </div>
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Il racconto è ambientato a Villa Onestà, lussuosa clinica salutistica nelle colline del Chianti in cui Penelope Poirot si reca in cerca di relax e pace. Purtroppo per lei e per la sua segretaria, però, il soggiorno si trasforma ben presto in un susseguirsi di tensioni e drammi, che prevedibilmente culminano in un misterioso delitto. Penelope si sente chiamata in causa e fa di tutto per risolvere l’arcano. Peccato che dal suo antenato belga non abbia ereditato che il nome. </div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-fFWI_xE_sWw/V6MEqRiYxyI/AAAAAAAACSc/yUwAuC_hn3QZ_h0yMayraL9_5DCmePlewCLcB/s1600/penelopepoirotfalacosagiusta.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://4.bp.blogspot.com/-fFWI_xE_sWw/V6MEqRiYxyI/AAAAAAAACSc/yUwAuC_hn3QZ_h0yMayraL9_5DCmePlewCLcB/s320/penelopepoirotfalacosagiusta.jpg" width="320" /></a></div>
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Dopo un lunghissimo preambolo, in cui vengono presentati i numerosi ospiti e dipendenti di Villa Onestà e le dinamiche e i rapporti che li legano, il lettore è costretto a seguire i maldestri tentativi di indagine dell’eccentrica protagonista e della sua insicura segretaria, fino a un’improbabile e – ahimè – insoddisfacente soluzione. </div>
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A raccontarci ogni cosa sono direttamente Velma e Penelope, narratrici rispettivamente della prima e della seconda parte del romanzo. Inoltre, al termine di ogni capitolo, l’autrice ha posto dei brevi frammenti in cui racconta i punti di vista degli altri ospiti della villa, talvolta anche quello della villa stessa. </div>
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Se il tentativo di questa doppia narrazione (lasciamo perdere gli intermezzi, che ho trovato superflui ma a volte piacevoli) era quello di illuminare la relazione tra le due protagoniste, che mi pare di capire dovrebbe essere il punto di forza dell’opera, direi che il risultato non è stato raggiunto. </div>
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Le due eroine di <b><i>Penelope Poirot fa la cosa</i></b> giusta non riescono neanche per un secondo a staccarsi dagli stereotipi di cui sono figlie. Una volta capito che Penelope si veste in modo assurdo, e che quell’altra si ostina a recitare la parte della zitella acida ma che in realtà ha tanto bisogno di affetto, abbiamo detto tutto. Niente a che vedere con le finezze del meraviglioso investigatore belga di Agatha Christie. </div>
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Di buono c’è che la galleria di possibili sospetti è abbastanza riuscita e che qualche scena è piuttosto divertente.</div>
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Simpatica parodia del romanzo a enigma, l’opera di Becky Sharp in definitiva non convince. Molto meglio accendere la tv e guardarsi un episodio del vero Poirot.</div>
<br />
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<br /></div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-47179468211132940582016-07-29T16:28:00.001+02:002016-07-29T16:29:26.720+02:00Le indagini di Cormoran Strike: Recensione #75<div style="text-align: justify;">
<b><i>Il richiamo del cuculo</i>, <i>Il baco da seta,</i> <i>La via del male</i>: letture da vacanza</b></div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-igkKJzyhIi8/V5tmIK0puuI/AAAAAAAACRw/H9VNfkPBvHUxZat4n9zxtk8Nt6_WFdjWACLcB/s1600/jkrowling.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-igkKJzyhIi8/V5tmIK0puuI/AAAAAAAACRw/H9VNfkPBvHUxZat4n9zxtk8Nt6_WFdjWACLcB/s320/jkrowling.jpg" width="212" /></a></div>
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Finalmente quest’estate ho conosciuto <b>J.K. Rowling</b>. Probabilmente il destino di questo blog è quello di costringermi a tirar fuori tutte le mie mancanze letterarie, e oggi a quanto pare è arrivato di confessare che non ho mai letto i romanzi di <b>Harry Potter</b>. Quando sono usciti, li leggevano i miei fratelli e io di conseguenza li snobbavo. Poi sono venuti i film e me li sono rovinati… ora aspetto che Michelino cresca un po’ per riprovarci. Anche perché la loro autrice mi ha davvero conquistato!</div>
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<br /></div>
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Ma andiamo con ordine. I romanzi di <b>Cormoran Strike</b> (ormai sono una vera e propria saga) sono firmati da <b>Robert Galbraith</b>, pseudonimo che l’autrice inglese ha adottato per “puro piacere di ottenere un feedback con un nome diverso”, oltre che per liberarsi almeno in parte delle aspettative che dei nuovi libri con il suo nome avrebbero generato. In effetti, nelle pagine dei ringraziamenti di Il baco da seta e La via del male, la Rowling definisce questi romanzi “il suo parco personale giochi” e di “pura gioia” della scrittura.</div>
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Non male, come parco giochi. Forse un po’ macabro, ma davvero entusiasmante. </div>
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://2.bp.blogspot.com/-FGXiedWiRxw/V5tmw1nVhSI/AAAAAAAACR0/ZWacIso-JtAuiFYM2X2VmfCVubwUkJuSwCLcB/s1600/cormoranstrike.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="170" src="https://2.bp.blogspot.com/-FGXiedWiRxw/V5tmw1nVhSI/AAAAAAAACR0/ZWacIso-JtAuiFYM2X2VmfCVubwUkJuSwCLcB/s200/cormoranstrike.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il disegno viene da <a href="http://robinblueellacott.tumblr.com/post/134463619885/so-my-headcanon-is-that-strike-and-robin-are" target="_blank">qui</a></td></tr>
</tbody></table>
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La serie per ora è composta da tre romanzi – <i><b><a href="https://www.amazon.it/gp/product/B00F5XZ2VY/ref=dp-kindle-redirect?ie=UTF8&btkr=1" target="_blank">ll richiamo del cuculo</a></b></i>, <b><i><a href="https://www.amazon.it/Il-baco-seta-indagini-Cormoran-ebook/dp/B00K6MKFXY/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1469802416&sr=8-1&keywords=il+baco" target="_blank">Il baco da seta</a></i></b> e<a href="https://www.amazon.it/via-del-male-indagini-Cormoran-ebook/dp/B01B4Z9P00/ref=pd_sim_351_2?ie=UTF8&dpID=51AhOc69rSL&dpSrc=sims&preST=_OU29__BG0%2C0%2C0%2C0_FMpng_AC_UL160_SR107%2C160_&psc=1&refRID=GP8CBET323E6NQBWQCKA" target="_blank"> <i><b>La via del male</b></i></a> – che hanno come protagonista il burbero investigatore <b>Cormoran Strike</b>. Un tipo affascinante, nonostante l’aspetto minaccioso e la gamba amputata. E le disavventure finanziarie e sentimentali. Insomma, l’ennesima piacevole variazione sul tema del detective solitario e geniale che tanto va di moda ultimamente. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nei romanzi firmati Galbraith, però, oltre all’indubbia riuscita del personaggio principale, c’è dell’altro. Innanzitutto, c’è Robin. Assistente di Cormoran, aspirante investigatrice, bella e determinata, e con un passato tormentato quasi quanto quello del suo capo. Robin argina la personalità di Strike, ne smussa gli angoli più acuminati, e si aggiudica buona parte della simpatia del lettore. Insomma, gli ruba almeno in parte la scena, rendendolo meno macchietta e più umano, più credibile. </div>
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E poi – o forse dovrei dire soprattutto – con il procedere della saga, questi personaggi evolvono. Cambiano i casi che devono risolvere, sempre più sanguinosi e coinvolgenti anche sul piano personale, cambia la loro condizione economica e sociale, cambiano le loro situazioni sentimentali e la relazione tra di loro. In una parola, Strike e Robin crescono. </div>
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Insomma, le avventure di Cormoran Strike superano di gran lunga lo stereotipo di cui sono figlie, e regalano al lettore un intrattenimento che va ben oltre la serialità. </div>
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Sorge ovviamente spontanea la domanda: chissà se è lo stesso anche in Harry Potter? Non vedo l’ora di scoprirlo!</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-2365161317224106102016-06-20T15:48:00.000+02:002016-06-20T15:48:35.791+02:00La figlia sbagliata: Recensione #74<div style="text-align: justify;">
<b>La passione salvifica della <i>Figlia sbagliata</i></b></div>
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Piccola delusione da ignorante sul <b>Premio Strega 2016</b>: <a href="http://www.edizionifrassinelli.it/libro/la-figlia-sbagliata/"><i><b>La figlia sbagliata</b></i></a> di <b><i>Raffaella Romagnolo</i></b> non è tra i cinque finalisti. Peccato, perché facevo il tifo per lei. Ma in fondo poco importa la cinquina; quello che conta è sapere che in circolazione c’è un romanzo su cui vale la pena di impegnarsi a scrivere due parole. Un romanzo che – come già <a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2014/12/recensione-56-la-ferocia.html"><i><b>La ferocia</b></i></a>, per restare in tema di Strega – consiglierei a tutti. </div>
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-e87L8GxYmz0/V2fztY3kEsI/AAAAAAAACRE/OnkniDOZUVkRmJ4sXNr1fI53m3n_9WVqQCLcB/s1600/lafigliasbagliata.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-e87L8GxYmz0/V2fztY3kEsI/AAAAAAAACRE/OnkniDOZUVkRmJ4sXNr1fI53m3n_9WVqQCLcB/s320/lafigliasbagliata.JPG" width="209" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Al centro dell’opera, l’ennesima famiglia disfunzionale. Pietro, camionista, padre e marito assente; Ines, donna forte e ostinata, un capitale di energie quasi infinito riversato sui figli: Vittorio, il primogenito prediletto, e infine Riccarda: la figlia “sbagliata” del titolo, sbagliata fino nel nome.</div>
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Il romanzo si apre con la descrizione scientifica, piatta, della morte di Pietro: il cuore smette di battere e lui rimane lì, immobile, lo sguardo congelato sulle spalle della moglie, rabbiosamente intenta a lavare i piatti. </div>
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Non è che Ines non si accorga di cosa stia succedendo; è che decide di ignorare la questione. E non per odio o per vendetta, come si crederebbe all’inizio; ma per una serie di meccanismi mentali che ormai l’hanno completamente paralizzata.</div>
<div style="text-align: justify;">
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<i>La figlia sbagliata</i> si costruisce da qui. Dai pensieri ripetitivi, ossessivi, frustrati e distorti di Ines, che pian piano – alternandosi talvolta ai punti di vista degli altri protagonisti – ripercorrono i drammi segreti, individuali e comuni, di questa famiglia. Famiglia come incastro, dunque; groviglio di sofferenze e frustrazioni che definisce e modella quattro personalità dolorosamente inconciliabili. </div>
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Sotto questo profilo, (ora dirò un’enormità) La figlia sbagliata mi ha ricordato un mostro sacro come <a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2013/08/recensione-44-le-correzioni.html"><i><b>Le correzioni</b></i></a>. Proprio come il capolavoro di<b> Franzen</b>, infatti, l’opera della Romagnolo sa evidenziare la potenza distruttiva e ineludibile dei legami familiari. Le relazioni sono presentate come un male inevitabile, il male che definisce – in senso propriamente tragico – il destino dei personaggi. </div>
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-tgEQHh8_VqU/V2fz4RuTS4I/AAAAAAAACRM/5HUUx0hSWSQT5yECI912uZKp3WUViXHWQCLcB/s1600/raffaellaromagnolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-tgEQHh8_VqU/V2fz4RuTS4I/AAAAAAAACRM/5HUUx0hSWSQT5yECI912uZKp3WUViXHWQCLcB/s1600/raffaellaromagnolo.jpg" /></a></div>
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Ma c’è di più (per fortuna). <i>La figlia sbagliata</i> parla anche di talento, di passione, di vocazione. Della forza che ci vuole per inseguirli, per costruirci intorno una vita. Di come, alla lunga, questa sia l’unica possibilità per non soccombere. </div>
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Non a caso, l’unico personaggio del romanzo che riesce a salvarsi (dove con salvezza potremmo intendere sia sopravvivenza che almeno parziale realizzazione di sé) è Riccarda. La “figlia sbagliata” è infatti la sola che riesce a spezzare le catene dei legami familiari, perché ha la forza di inseguire un obiettivo più alto, un sogno nato, cresciuto e faticosamente realizzato al di fuori delle anguste mura domestiche. Grazie alla passione, Riccarda riesce a trasformare il temperamento forgiato dalla famiglia (la sensazione di essere perennemente <i>fuori luogo</i>, “la capacità di <i>scomparire</i>, affinata in anni di quotidiano lavoro di opposizione e fuga, quel continuo guardarsi da fuori, e chiamarsi fuori dalle situazioni per non sentirsi esposta, la pelle scorticata dalle aspettative altrui”) in risorsa, condizione auspicabile per diventare attrice. In questo senso, la figlia sbagliata (che non per niente nella prima audizione della sua vita sceglie di interpretare l’Elettra di Euripide, l’eroina tragica che, con la complicità del fratello Oreste, uccide la madre) è – nonostante il dolore – artefice del proprio destino. </div>
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La dimensione tragica non risolve però pienamente il dolore e il dramma del romanzo. Frequenti sono infatti – soprattutto nei contorti ragionamenti di Ines – i riferimenti al Vangelo. Emblematica sotto questo profilo la sua riflessione sulla parabola dei Talenti (“è sicura che se fosse capitato a lei […] avrebbe fatto lo stesso. L’avrebbe sotterrato, sissignore. L’aveva imparata la lezione. Altro che parabole. Per questo la nostra vita è diventata pianto e stridore di denti?”). Alla logica del cristianesimo, Ines oppone un netto rifiuto, escludendosi sia dalla dimensione di consapevolezza e accettazione dell’eroe tragico, sia dallo slancio evangelico. </div>
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Il suo continuo, ostinato, richiamarsi alla ragionevolezza la condanna a un delirante – paradossale – inferno.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-21945131280902041492016-05-23T10:00:00.000+02:002016-06-20T15:42:57.335+02:00Class: Recensione #73<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-ct2fz4xvOkE/V0K4GQ5alOI/AAAAAAAACQM/d9tVRzNN30UdoAzGNiJdKe-_mc39hMfWgCLcB/s1600/class-recensione.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-ct2fz4xvOkE/V0K4GQ5alOI/AAAAAAAACQM/d9tVRzNN30UdoAzGNiJdKe-_mc39hMfWgCLcB/s1600/class-recensione.jpg" /></a></div>
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<b><a href="http://www.librimondadori.it/libri/class-francesco-pacifico">Class</a> </b>di <b>Francesco Pacifico</b> è un libro che per molti aspetti mi ha fatto sentire a casa. Nelle sue frasi sentenziose e raffinate, in cui ogni più piccolo dettaglio descrittivo viene assurto a giudizio morale, ho ritrovato con piacere l’autore di quei cinici quanto gustosi articoli su <i>IL</i> che qualche anno fa allietavano i pomeriggi di noia nel mio vecchio ufficio, e che mi hanno fatto scoprire l’affascinante manipolo di scrittori che ruota intorno a <b>Minimum Fax</b>.</div>
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Ma non solo. La critica alle velleità artistiche dei rampolli della borghesia romana (che poi forse sono le stesse di quella milanese, con le dovute variazioni sul tema) è argomento ormai talmente frequentato da non creare disagio neanche in chi – come la sottoscritta – dovrebbe probabilmente esserne il bersaglio. <i>Class</i> è così ben inserito nel sistema che pretende di distruggere, che i suoi utenti principali sono anche le sue vittime; le quali però lo leggono per farsi due risate, e ritrovare il ritratto piacevole di qualcosa che conoscono. Qualcosa che – per l’appunto – in qualche modo le fa sentire a casa.</div>
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Continua a leggere su <b><a href="http://www.cultweek.com/class-francesco-pacifico/" target="_blank">Cultweek</a></b></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-18427133830992172032016-04-18T16:32:00.001+02:002016-04-18T16:44:26.125+02:00Purity: recensione #72<b><i>Purity,</i> o della Purezza</b><br />
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Da quando è nato Michele, mi sono chiesta molte volte quale libro sarebbe riuscito a distogliermi dalla pigrizia mentale – perfettamente giustificabile e quindi massimamente subdola – della maternità e convincermi a scrivere. </div>
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-xglCg3FlPOs/VxTumEV0Z9I/AAAAAAAACPg/rCT4y9Io-GQW6C2PRg4SygPiKABOBeXggCLcB/s1600/franzen.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://3.bp.blogspot.com/-xglCg3FlPOs/VxTumEV0Z9I/AAAAAAAACPg/rCT4y9Io-GQW6C2PRg4SygPiKABOBeXggCLcB/s1600/franzen.jpg" /></a>In qualche modo ero convinta che a salvarmi sarebbe stato quel gigante di <b><a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Jonathan_Franzen" target="_blank">Jonathan Franzen</a></b>. Le sue <i><a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/jonathan-franzen/le-correzioni/978880616037" target="_blank">Correzioni</a></i> (di cui avevo scritto <a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2013/08/recensione-44-le-correzioni.html" target="_blank">qui</a>) sono state forse il mio romanzo preferito degli ultimi anni. E <i><a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/jonathan-franzen/libert-/978880619111" target="_blank">Libertà</a></i>, anche se un po’ più faticoso, ha saputo tenermi incollata per interi pomeriggi elbani, incurante di marito, suoceri e perfino dell’abbronzatura (ok forse dell’abbronzatura no, non esageriamo). </div>
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I suoi tremendi personaggi sono capaci di mettere a nudo le più inconfessabili bassezze dell’animo umano, di rivelare le trappole e la forza e la bellezza delle relazioni, di creare identificazioni potentissime. <b>Franzen</b> racconta delle storie che sembrano scritte per te, che non ti lasciano scampo. <b>Franzen</b> è uno che ti conquista.</div>
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-Zx6Ll0lGHtA/VxTuwWNYniI/AAAAAAAACPk/eCuqb8rFyLQ6LZqtRiJRk4JmP2BxaYbYACLcB/s1600/purity.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-Zx6Ll0lGHtA/VxTuwWNYniI/AAAAAAAACPk/eCuqb8rFyLQ6LZqtRiJRk4JmP2BxaYbYACLcB/s320/purity.jpg" width="201" /></a></div>
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Così, appena è uscito <b><i><a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/jonathan-franzen/purity/978880621660" target="_blank">Purity</a></i></b> in italiano (non ho osato avventurarmi nell’inglese), mi sono affrettata ad acquistarlo e a divorarne i primi capitoli, ricavando spazi di lettura prima impensabili, spingendo il passeggino al parco, durante le estenuanti poppate notturne. Insomma, fino a un certo punto tutto è andato come mi aspettavo. Ma verso la metà, esaurito l’entusiasmo rimastomi addosso da <i>Le Correzioni</i>, mi sono accorta che stavo perdendo lo slancio. Che per qualche ragione <b><i>Purity </i></b>non era all’altezza della situazione.</div>
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Cosa non ha funzionato?</div>
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Per prima cosa, direi la troppa carne al fuoco. Il risvolto di copertina dell’edizione Einaudi recita: “l'autore di <i>Le correzioni</i> e <i>Libertà</i> dilata il tempo e lo spazio della sua narrazione - la Germania Est degli anni Ottanta, Philadelphia, Oakland, Denver, la Bolivia di oggi -, espande la galleria dei personaggi e moltiplica i protagonisti, diversifica le insidie con cui si devono misurare - dalla potenziale distruttività del ruolo genitoriale alla schiavitù dell'immagine, dalla corruttibilità delle idee forti alla guerra fra i sessi”. Tutto vero. E il risultato è sicuramente un’opera di “grande ambizione”. Il problema è che, nella foga di andare avanti e indietro nel tempo e nello spazio, all’inseguimento delle cause e dei perché dei suoi protagonisti, <b>Franzen</b> perde di incisività. Il contrasto tra i punti di vista dei suoi personaggi, le voci diverse e discordanti che raccontano lo stesso evento, sono sempre state uno dei suoi punti forti. Qui, invece, l’impressione è che l’espediente degeneri, si trasformi in schema, meccanismo abusato, ora della fine controproducente. </div>
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Troppe storie, insomma. Ma anche troppe voci, e soprattutto troppi temi. In <b><i>Purity</i></b> non si parla solo di famiglia e di relazioni. Ci sono anche la condanna al mondo occidentale, al consumismo, alla velleità e alla cultura del controllo della società statunitense; una riflessione sulla tutela dell’ambiente, sul nucleare; una fortissima critica alla società dei media, che si vanta di portare "alla luce del sole" i segreti più incoffesabili, e che poi dei segreti stessi è schiava… niente che non ci sia anche nelle precedenti opere di <b>Franzen</b>. Stavolta, però, l’autore prende tutti questi argomenti decisamente di petto, riversando le sue opinioni in lunghi, moralisti soliloqui messi in bocca o in testa a qualche personaggio, che però nulla aggiungono al racconto. </div>
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In questo orizzonte dogmatico trova posto anche la scelta del titolo, che è poi il nome della protagonista dell’opera. <b>Purity, la Purezza</b>. Con la P maiuscola, non tanto perché è un nome ma soprattutto perché è un valore. Un valore che i protagonisti dell’opera inseguono e tradiscono, ciascuno a modo suo. </div>
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Ecco allora la fondamentale differenza tra questa e le precedenti opere di <b>Franzen</b>: qui la riflessione morale prende il sopravvento sulla statura dei personaggi, che in effetti perdono buona parte della loro forza, e si ritrovano schiacciati da una volontà autoriale diventata decisamente troppo ingombrante. A risentirne è anche la verosimiglianza della storia, ridotta a un complicato e poco credibile intrico di coincidenze perfettamente incastrate. </div>
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Insomma, con <b><i>Purity</i></b>, <b>Franzen</b> ha creato un’enorme cassa di risonanza per le proprie convinzioni morali. Peccato che, così facendo, a noi lettori sia preclusa la bellezza che ci aspettavamo. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-24100652531078650662015-10-19T09:45:00.000+02:002015-10-19T09:45:04.202+02:00Sebastiano Vassalli: qualche volta degli uomini rimangono le loro storie<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-FF1c-oc3e4c/ViSfVz9qxfI/AAAAAAAACLs/coReeZnoO0I/s1600/vassalli.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="http://4.bp.blogspot.com/-FF1c-oc3e4c/ViSfVz9qxfI/AAAAAAAACLs/coReeZnoO0I/s320/vassalli.jpg" width="320" /></a></div>
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Prima di cominciare a scrivere devo fare una confessione. <i><b>La chimera</b></i> di <b>Sebastiano Vassalli</b> (premio Strega e finalista al Campiello e quant’altro nel 1990) è forse l’unica lettura estiva consigliata dai miei professori del liceo che ho deciso deliberatamente di ignorare. Ebbene sì, ero una studentessa modello. Ma soprattutto, fino alla sua morte, avvenuta il 26 luglio scorso, non ho avuto il minimo desiderio di leggere nessuna delle opere di Vassalli (che questa settimana avrebbe compiuto 74 anni). Nella mia testa, mi ero immaginata dei noiosi romanzi storici, consigliati agli studenti delle scuole per completare la loro visione sul Seicento, per raccontar loro una storia uguale e diversa a quella dei <i>Promessi sposi</i>...</div>
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<a href="http://www.cultweek.com/sebastiano-vassalli/" target="_blank">Continua a leggere su Cultweek</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-90562899035519818112015-10-06T08:32:00.000+02:002015-10-06T08:32:33.828+02:00Recensione #71: Pista nera<b>Due ore strappate alla tv</b><br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-r_GLWRoNjAI/VhNpjCbp_GI/AAAAAAAACLA/FpuuxX9MT34/s1600/pistanera2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/-r_GLWRoNjAI/VhNpjCbp_GI/AAAAAAAACLA/FpuuxX9MT34/s1600/pistanera2.jpg" /></a></div>
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Un commissario, <i>pardon </i>vicequestore scontroso e tormentato. Un giovane poliziotto volenteroso e due agenti imbranatissimi. Una cornice paesaggistica mozzafiato. Un misterioso delitto. Una vedova bellissima e inconsolabile.</div>
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L’ultimo Camilleri? Sbagliato. Il primo <b>Manzini</b>.</div>
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Lo dico fin da subito, per evitare qualsiasi equivoco. <i><b>Pista nera</b></i> è divertente, si legge in fretta e con piacere, e credo proprio che mi procurerò quanto prima anche gli altri episodi della serie. </div>
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Ma detto ciò, che nessuno si aspetti di trovarci un capolavoro, e nemmeno qualcosa di molto originale. Semplicemente, una storia simpatica. Un paio d’ore strappate alle serie tv. </div>
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Il vicequestore Rocco Schiavone è un romano verace, nato e cresciuto nella luce calda e nei lassismi della Capitale. Intelligenza acuta, fiuto da vendere e pelo sullo stomaco, sembra destinato a una brillante carriera in polizia. Invece qualcosa va storto. Anzi, Schiavone fa andare storto qualcosa. Il suo carattere irruento, il suo irrinunciabile senso di giustizia (anche a costo di scavalcare qualche regola) lo portano a commettere un passo falso, <i>et voilà</i>: il nostro protagonista, con il suo ingombrante bagaglio di fantasmi, viene trapiantato di punto in bianco ad Aosta, in punizione. </div>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-g7WHJtuPODM/VhNqD8IcVJI/AAAAAAAACLI/X9bHDHvqcNE/s1600/pistanera.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="http://2.bp.blogspot.com/-g7WHJtuPODM/VhNqD8IcVJI/AAAAAAAACLI/X9bHDHvqcNE/s320/pistanera.jpg" width="320" /></a></div>
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È qui che lo troviamo, a quattro mesi dal trasferimento, ancora tutt’altro che abituato al nuovo ambiente: rigorosamente vestito di loden e clarcks, alle prese con uno spinoso caso di omicidio consumato sulle piste di Champoluc. Ad “aiutarlo” una serie di poliziotti più o meno simpatici e imbranati. </div>
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Le cose si complicano quando il suo corpulento amico Sebastiano lo raggiunge da Torino, proponendogli un affare con cui arrotondare lo stipendio. Affare che prenderà presto le dimensioni di un caso parallelo a dir poco inverosimile, la cui unica ragione di esistere può essere solo – imperdonabilmente – il desiderio dell’autore di dotare il suo protagonista di un cuore d’oro. </div>
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In effetti, quello che veramente non convince di Rocco Schiavone è la totale, piatta, aderenza allo stereotipo del poliziotto-burbero-dall’animo-gentile, e soprattutto dal senso di giustizia ineccepibile. Manzini vorrebbe creare un personaggio innanzitutto simpatico (da qui le fissazioni per il vestiario da città, la debolezza per le belle donne, la mano pesante coi sospettati, l’insofferenza per l’autorità), e poi sempre capace di scegliere il giusto, anche nelle situazioni più controverse, anche al di fuori dei confini della legge. Il risultato è quindi un eroe superficiale, tormentato solo in apparenza, e di fatto platealmente schierato dalla parte dei buoni. Un commissario – vicequestore – come te lo aspetteresti, in un’epoca di Montalbani e simili. </div>
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Per quanto riguarda la trama, pur non essendo particolarmente esperta, direi che il mistero non è dei più intricati. Il colpevole si individua abbastanza in fretta, ma questo non toglie niente alla piacevolezza della lettura. In fondo diciamocelo: in tutti questi gialli che ultimamente affollano le nostre librerie, non ci importa tanto scoprire “chi è stato”. Quello che ci piace è vedere il protagonista/eroe, che un po’ ci assomiglia e un po’ ci esaspera, alle prese con una realtà che in qualche modo ricalca e racconta la nostra. Insomma, prima che buon detective, a Schiavone il lettore chiede di essere innanzitutto un umano credibile… (ed è qui che invece ahimè il vicequestore fallisce).</div>
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Vediamo se saprà riscattarsi nelle prossime puntate!</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-77063606927322798062015-09-21T10:17:00.000+02:002015-09-21T10:17:47.812+02:00Recensione #70: Il clima ideale<br />
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<b>Viaggio tra Milano e i Balcani inseguendo <i>Il clima ideale</i></b></div>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-MtXymgAW7Ig/Vf-85yhMUFI/AAAAAAAACJ8/LLMV1IGGhLY/s1600/LAURANA%2B-%2BRimmel%2B-%2B025%2BIl%2Bclima%2Bideale.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://2.bp.blogspot.com/-MtXymgAW7Ig/Vf-85yhMUFI/AAAAAAAACJ8/LLMV1IGGhLY/s320/LAURANA%2B-%2BRimmel%2B-%2B025%2BIl%2Bclima%2Bideale.jpg" width="206" /></a></div>
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Michele è un lobbista timido, uno che non fatica a piegare il concetto di legalità al proprio interesse, ma anche uno che conta i passi per andare da un posto all’altro. Uno che non si impressiona né si fa influenzare facilmente, ma che poi non è tranquillo senza il suo yoyo.</div>
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L’unica autorità che riconosce senza discutere è quella di suo nonno Folco, psichiatra novantunenne, che condivide con il nipote l’interpretazione arbitraria della legge (“Scusa una cosa”, disse [Michele] ad alta voce, “ma perché non paghi le spese di condominio?” “Ho novant’anni” esordì il nonno, con tono solenne, “se devo scegliere a chi dare i miei soldi, preferisco sia una persona a cui voglio bene. Ad esempio tuo cugino, che almeno se li spende con qualche bella ragazza”. P. 57).</div>
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In effetti è proprio la volontà ferrea e bizzarra di questo vecchietto inarrestabile (il personaggio più pensato dell’opera, a detta dell’autore) a mettere in moto la trama del romanzo...</div>
<span style="background-color: white; color: #555555; font-family: 'Open Sans', 'Helvetica Neue', Arial, Verdana, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 21px;"><div style="text-align: justify;">
<a href="http://www.cultweek.com/il-clima-ideale-franco-vanni/" target="_blank">Continua a leggere su Cultweek</a></div>
</span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-31050153243078073402015-09-06T21:25:00.002+02:002015-09-06T21:25:25.555+02:00Recensione #69: Villette<div style="text-align: justify;">
<b>Ultimo lusso dell’estate</b></div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-Lpr6uluL9VI/VeySFv4bSII/AAAAAAAACIk/mdcyYOi-_YU/s1600/villette2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="http://3.bp.blogspot.com/-Lpr6uluL9VI/VeySFv4bSII/AAAAAAAACIk/mdcyYOi-_YU/s320/villette2.jpg" width="320" /></a></div>
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Premessa doverosa e forse vagamente eretica. Non sono un’appassionata di romanzi ottocenteschi inglesi. Ho letto <i>Orgoglio e Pregiudizio</i>, l’ho anche apprezzato, ma non sono tra quelli che lo considerano il libro della vita. Tanto più che ultimamente faccio abbastanza fatica a leggere qualsiasi cosa non sia stata scritta negli ultimi dieci anni… colpa della mia vita troppo frenetica, o dell’ansia di perdermi qualche geniale novità, non saprei.</div>
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Quest’estate però, complice la nullafacenza delle giornate agostane al lago, mi sono ritrovata ad aver voglia qualcosa di più riflessivo dei soliti romanzi contemporanei inarrestabili, coi loro salti temporali e i loro colpi di scena. E prima ancora che il desiderio prendesse una forma esplicita, mia cugina Laura – indimenticabile compagna di giovanili letture estive – mi ha messo in mano <b><i>Villette</i></b> di <b>Charlotte Brontë</b>. Un libro che non avrei mai scelto da sola, ma che si è rivelato esattamente quello di cui avevo voglia e bisogno prima di tornare ai ritmi incalzanti della vita milanese. </div>
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Ultima nota prima di venire al punto: se, come me, leggete l’edizione di Fazi del 2013, non fatevi ingannare (né spaventare) dal risvolto di copertina: presenta l’opera come una specie di romanzo rosa, con un’eroina divisa tra due pretendenti… niente di più lontano dalla verità! La storia d’amore c’è, ma sicuramente non è così banale. </div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-mHQZpicZMjg/VeyRJw-5jwI/AAAAAAAACIc/deT2NvZn5Ls/s1600/villette.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-mHQZpicZMjg/VeyRJw-5jwI/AAAAAAAACIc/deT2NvZn5Ls/s1600/villette.jpg" /></a></div>
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<i>Villette </i>è il racconto amaro e profondo di una vita piegata dalla sofferenza. Lucy Snowe, protagonista e narratrice dell’opera, è una giovane inglese senza bellezza e senza fortuna: ritrovatasi sola al mondo per una serie di disgraziati quanto rapidi eventi, parte alla volta del continente in cerca di un impiego onesto con cui mantenersi. Si sistema dunque a Villette, cittadina immaginaria che la Brontë plasma sul modello di Bruxelles, dove trova lavoro come istitutrice. </div>
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Il romanzo racconta la vita di Lucy a Villette: i suoi tentativi di ricominciare da capo in un paese straniero, il suo impegno, le sue fatiche, i suoi timidi successi e le sue segrete, inconfessate, delusioni. Le sue giornate sono costellate di tutte quelle rassicuranti piccole incombenze che ci si aspetta da un romanzo inglese dell’Ottocento. Gli snodi della trama, agli occhi del lettore contemporaneo, risultano convenzionali, quasi sempre prevedibili. Ma c’è dell’altro. A fare da contraltare alla prevedibilità della vicenda, intervengono la finissima capacità di osservazione, lo spirito critico e pungente, e la perfetta verosimiglianza della figura di Lucy. </div>
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La protagonista ci appare come una creatura ferita, pressoché incapace di affermare la propria volontà e i propri desideri di fronte a chiunque. Eppure, allo stesso tempo, potremmo definirla una figura stoica, dotata di forza d’animo immensa, che le permette di fronteggiare senza un gemito, in completa solitudine, i dolori e gli abbandoni continui a cui la sorte pare averla destinata. Queste tensioni tra sofferenza e capacità di sopportazione, tra estrema indipendenza di pensiero e impotente remissività di fronte agli altri, sono almeno in parte rappresentazione del contrasto - fondamentale nell’economia dell’opera - tra la fede cattolica e quella protestante. Unica e incompresa campionessa di quest’ultima confessione è la stessa narratrice: se da un lato infatti la sua fede le proibisce di abbandonarsi alla consolazione della Grazia, dall’altro le dà la forza di riportare continuamente la propria sorte a un orizzonte più ampio. </div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-To3zDNC8kr4/VeySevdlHXI/AAAAAAAACIs/HOjJlHwyzrg/s1600/villette3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-To3zDNC8kr4/VeySevdlHXI/AAAAAAAACIs/HOjJlHwyzrg/s1600/villette3.jpg" /></a></div>
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Insomma, a rendere perfetto il personaggio di Lucy – e in un’ultima analisi a dare respiro all’intero romanzo – è la sua maestosa statura etica e morale. Dimensione, questa, che la protagonista prende almeno in parte in prestito dalla sua creatrice. Charlotte Brontë scrisse infatti quest’opera (l’ultima) con lentezza, nella fatica del lutto: negli otto mesi precedenti alla stesura, aveva perso un fratello e due sorelle. È quindi la stessa autrice a vivere l’intreccio tra lotta e rassegnazione, tra debolezza e coraggio, che costituisce l’ossatura del romanzo. Ed è infine nella scrittura – per Charlotte come per Lucy – che risiede l’unica possibilità di distacco dal dolore. </div>
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Il racconto si mantiene infatti sempre sulle tinte contenute del romanzo, senza degenerare mai nella tragedia. Anche nello splendido epilogo, l’improvviso innalzamento poetico viene immediatamente ricondotto nel solco dell’ordinaria quotidianità dei personaggi. Come dire che l’unico modo di sopravvivere al dolore è concentrarsi sulle piccole cose di tutti i giorni, rassegnarsi alla routine, e, come i veri eroi tragici, accettare il proprio destino.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-75677208394635657342015-08-16T11:45:00.002+02:002015-08-16T11:47:51.452+02:00Recensione #68: Incanto<b>Ricordi di un’estate felice</b><br />
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-MJ15l8itPs0/VdBaxWK6euI/AAAAAAAACHs/K_TyRk4NJVs/s1600/incanto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-MJ15l8itPs0/VdBaxWK6euI/AAAAAAAACHs/K_TyRk4NJVs/s1600/incanto.jpg" /></a></div>
<i>Incanto</i> di Pietro Grossi comincia come una favola: una vecchia strada misteriosamente asfaltata nel giro di una notte, una moto ritrovata in un capanno, tre amici inseparabili alle soglie dell’adolescenza. Ecco gli ingredienti per un’estate indimenticabile a San Filippo, borgo sperduto in mezzo alla Toscana. </div>
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Poi si sa, gli anni passano, le cose cambiano e gli amici si allontanano: c’è chi tenta la carriera da pilota al Motomondiale, chi vince una borsa per studiare matematica all’estero, e chi deve amministrare il patrimonio di famiglia… in un primo momento, la distanza è solo fisica, e le vita di Greg, Jacopo e Biagio sembrano correre su binari paralleli, come se la forza dei ricordi comuni potesse tenerli ancora legati. E invece, pian piano, ognuno prenderà la sua strada, e dell’infanzia a San Filippo non resterà che il ricordo, inciso nelle memorie come il momento dell’equilibrio perfetto, quello in cui tutto poteva ancora succedere…</div>
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Ecco allora che quella che sembrava una favola estiva, raccontata con la leggerezza e la precisione delle memorie di gioventù, si trasforma in una caccia ai motivi, alle svolte critiche, ai primi sintomi del cambiamento, che – chissà – forse nascondono la chiave per comprendere la solitudine incalcolabile dell’età adulta. </div>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-LewqoYq5Fak/VdBZqB2zvUI/AAAAAAAACHg/rukqhX5mw6E/s1600/incanto2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-LewqoYq5Fak/VdBZqB2zvUI/AAAAAAAACHg/rukqhX5mw6E/s1600/incanto2.jpg" /></a></div>
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La storia procede per continue analessi, inframmezzate dai commenti della voce narrante (quella di Jacopo, il matematico-fisico che, forse anche a causa delle derive dei suoi studi, è naturalmente portato a ricercare nella propria esperienza le tracce di un disegno, che illumini il cammino tortuoso che la vita l’ha portato a compiere). L’espediente dei flashback è complessivamente riuscito, e contribuisce a dare un certo movimento e una discreta originalità alla costruzione della storia. Tuttavia, non tutti i ricordi sono effettivamente funzionali allo svolgimento della trama, e, a tratti, si ha l’impressione di perdersi nel flusso dei pensieri dell’io narrante. Di più, che il tentativo dell’autore sia quello di alzare il tiro e raccontare altro, oltre alla storia sua e dei suoi due amici: di rendere l’idea della vita al paesello, ma anche quella della fatica dell’uomo moderno, disperso nell’orizzonte immenso del mondo globalizzato. </div>
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Il risultato è un romanzo in discesa, almeno in termini di freschezza e godibilità: la prima parte, quella dedicata alle avventure di gioventù dei protagonisti, con i suoi dialoghi pieni di sottintesi e non detti e quei lievi dialettismi, è potente e nostalgica e al tempo stesso lieve; la seconda, in cui si raccontano i percorsi paralleli dei tre amici, è più densa di storia ma perde un po’ di lucentezza; la terza infine, è intitolata “il dubbio” e offre al lettore i tasselli mancanti del puzzle, oltre che uno spaccato sulla vita newyorkese del narratore. Così ricomposto, il quadro è completo ma anche desolante. E, ora della fine, non all’altezza delle aspettative dei primi capitoli. </div>
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Se questo progressivo abbassamento sia o meno voluto, non saprei dire; la sensazione però è che Grossi, nel tentativo di costruire un affresco complesso, perda qualcosa della sua iniziale capacità di incantare...</div>
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<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-25353571494484663682015-08-09T17:47:00.000+02:002015-08-09T17:47:27.213+02:00Recensione #67: Orrore vesuviano<div style="text-align: justify;">
<b>Una donna troppo bella per un paese troppo brutto</b></div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-XwxY-hgUph8/Vcd0-2fIiEI/AAAAAAAACG8/VMZr6_Zvtok/s1600/orrorevesuviano.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/-XwxY-hgUph8/Vcd0-2fIiEI/AAAAAAAACG8/VMZr6_Zvtok/s320/orrorevesuviano.jpg" width="224" /></a></div>
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Se dovessi trovare una definizione per le letture di quest’estate, </div>
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probabilmente sceglierei: “l’estate delle fiabe”. Tra <i><a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2015/07/recensione-62-chi-manda-le-onde.html" target="_blank">Chi manda le onde</a></i>, <i><a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2015/06/recensione-61-la-vita-sessuale-dei.html" target="_blank">La vita sessuale dei nostri antenati</a></i> e in un certo senso anche <i><a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2015/06/recensione-60-lestate-infinita.html" target="_blank">L’estate infinita</a></i>, mi sembra di imbattermi continuamente in grandi e complessivamente poco riuscite favole sull’Italia di ieri e di oggi. Come se questo Paese si raccontasse meglio attraverso il filtro della fantasia. O, chissà, magari sono io che spero di intrattenermi con letture apparentemente leggere e invece finisco sempre a cercare il senso della vita.</div>
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L’ultimo romanzo di questa non troppo fortunata serie è <i>Orrore vesuviano</i>. Un libro di cui, nel bene e nel male, due settimane dopo che l’ho finito, non ricordo già quasi più niente. Come si dice, rapido e indolore.</div>
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Ad ogni modo, con un discreto sforzo di memoria, sono riuscita a recuperare qualche stralcio della trama, che riassumerei così: "la storia di una donna troppo bella in un paese troppo brutto". Il paese in questione è Orrore Vesuviano, triste cittadina (ovviamente frutto della fantasia dell’autore) aggrappata al Vesuvio, crogiolo e metafora non troppo brillante delle miserie dell’Italia contemporanea, devastata dalla malavita, dalla spazzatura e dall’indolenza della popolazione. La donna troppo bella è invece Aurelia Scala, splendida quanto sfortunata fioraia, apparentemente destinata a veder morire in modi trucidi e fantasiosi tutti i suoi numerosi spasimanti. Forse che questi sanguinosi delitti hanno a che fare con i misteriosi riti compiuti da suo figlio Luca, il quale, sognando di avere <i>mammà </i>tutta per sé, desidera ardentemente la scomparsa di tanti insistenti innamorati?</div>
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Mentre i misteri intorno al negozio della bella fioraia si infittiscono, il piccolo Luca si ritrova a fare i conti con tante domande sulla propria storia: chi è suo padre? E perché tutti in paese sembrano sapere qualcosa sul suo conto che sua madre si ostina a non rivelargli? </div>
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<a href="http://4.bp.blogspot.com/-Mwi5emRbiic/Vcd1LzTVP7I/AAAAAAAACHE/4xUx6BvE6Rk/s1600/orrorevesuviano2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-Mwi5emRbiic/Vcd1LzTVP7I/AAAAAAAACHE/4xUx6BvE6Rk/s1600/orrorevesuviano2.jpg" /></a></div>
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Le narrazioni che adottano il punto di vista dei bambini non sono mai facili: è difficile per un autore adulto trovare un tono che sia ingenuo e anche credibile; non da uomo maturo in miniatura, ma nemmeno da imbecille. Devo dire che sotto questo profilo <i>Orrore vesuviano</i> non è male: la scrittura di Francesco Costa è allegra e scorrevole, e il giovane protagonista risulta piuttosto simpatico; la trama forse un po’ scontata e un po’ ripetitiva, ma non malvagia. Inoltre – e questa è una vera rarità – dopo tante peripezie, il finale non è disturbante né banale. Insomma, se lo si pensa come una semplice fiaba, direi che non è niente male. Se invece si pretende di farne una metafora della società contemporanea, non ci siamo proprio: il paragone con l’Italia di oggi è superficiale e pieno di luoghi comuni, e i personaggi, che non si capisce se dovrebbero rappresentare delle caricature di diversi tipi umani, non sono poi così spassosi. E soprattutto – come dicevo – dopo pochi giorni, tutta questa ironia e questi paradossi sono già finiti nel dimenticatoio…</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-64882038098629886702015-08-04T18:52:00.003+02:002015-08-04T18:52:56.521+02:00Recensione #66: L'intestino felice<div style="text-align: justify;">
<b>I segreti dell’intestino</b></div>
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<a href="http://1.bp.blogspot.com/-L-QQOlSg9YE/VcDtROVb0NI/AAAAAAAACGg/aICDehuNPUw/s1600/l%2527intestinofelice.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://1.bp.blogspot.com/-L-QQOlSg9YE/VcDtROVb0NI/AAAAAAAACGg/aICDehuNPUw/s320/l%2527intestinofelice.jpg" width="236" /></a></div>
Finalmente ho letto <i>L’intestino felice</i>. Erano mesi che sentivo parlare del fortunato best seller dedicato all’organo meno conosciuto e forse più bistrattato del nostro corpo, e ora, finalmente, faccio parte anch’io delle schiere dei suoi lettori. </div>
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A dire il vero, quando in tempi non sospetti la mia amica Maria Angela, che ha partecipato all’editing dell’opera, mi ha raccontato per la prima volta alcune delle curiosità di questo strano libro (tipo che quelli che hanno la toxoplasmosi sviluppano dei comportamenti pericolosi che tendono a trasformarli in cibo per gatti) sono rimasta un po’ perplessa: a che scopo dedicare un intero libro alle caratteristiche delle produzioni intestinali? Poi però, ripensandoci, mi sono incuriosita. In fondo è vero che non sappiamo granché di quanto accade in quel lunghissimo tubo dentro la nostra pancia, che pure ha il potere di influenzare tanto significativamente le nostre giornate … </div>
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Devo dire che almeno in parte la lettura si è rivelata all’altezza delle aspettative.<br />
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<a href="http://1.bp.blogspot.com/-exRhuAl2g4I/VcDteaBB9BI/AAAAAAAACGs/OvcEVXQKTu4/s1600/l%2527intestinofelice3.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="206" src="http://1.bp.blogspot.com/-exRhuAl2g4I/VcDteaBB9BI/AAAAAAAACGs/OvcEVXQKTu4/s320/l%2527intestinofelice3.jpg" width="320" /></a></div>
La giovanissima Giulia Enders (solo 25 anni, grandissima invidia!), dottoranda presso l’istituto di microbiologia e igiene ospedaliera di Francoforte sul Meno, con l’aiuto di sua sorella Jill (laureata in design della comunicazione con specializzazione in divulgazione scientifica), riesce bene nel suo intento: raccontare in modo piuttosto chiaro anche a dei profani come me lo stupefacente cammino che compie il cibo dentro il nostro corpo. </div>
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Grande attenzione viene poi riservata alla materia di studi della Enders, ovvero la flora intestinale: la vita, i delicati equilibri e le alterazioni delle migliaia di esseri ospiti delle nostre interiora è in effetti argomento di grande fascino. Secondo l’autrice, questa popolazione è talmente importante che dovrebbe essere considerata come un vero e proprio organo! </div>
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Mi sarei aspettata invece un maggiore approfondimento sul tema delle intolleranze/allergie, e soprattutto sulle relazioni tra cervello e intestino, su cui mi pare non si rifletta abbastanza… non mi sarebbe dispiaciuta (ma forse questa è solo mia curiosità morbosa) anche qualche indicazione pratica in più, come quelle di “mi siedo correttamente sul water?” e della “piccola lettura sulle feci”.</div>
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Ad ogni modo, <i>L’intestino felice</i> ha senz’altro il merito di trattare in modo semplice e senza inutili vergogne un argomento a cui, volenti o nolenti, pensiamo tutti i giorni e di cui – almeno in genere – non parliamo volentieri. Quindi ben venga!</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-82291391039271740192015-08-01T19:32:00.000+02:002015-08-18T18:11:45.294+02:00Recensione #65: Storia di un corpo<div style="text-align: justify;">
<b>Diario di un corpo</b></div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-yyhI_kRfqWU/Vb0ATO9FORI/AAAAAAAACGE/9jRLYhIrrMY/s1600/storiadiuncorpo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-yyhI_kRfqWU/Vb0ATO9FORI/AAAAAAAACGE/9jRLYhIrrMY/s1600/storiadiuncorpo.jpg" /></a></div>
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Non sono sicura che <i>Storia di un corpo</i> sia un libro da consigliare per l’estate. Senz’altro è una lettura piacevole (del resto con Pennac non poteva essere altrimenti), ma a tratti può rivelarsi anche faticosa. Sicuramente è un libro da leggere in fretta, per non perdere il filo. Si tratta in effetti di un vero e proprio diario, e, in quanto tale, per il lettore tenere il ritmo non è sempre facile. Penso che se a qualcuno capitasse di leggere il mio, per esempio, lo troverebbe incoerente e mal costruito… a periodi di delirio grafomane, con pagine e pagine su un singolo evento, seguono interi anni di pressoché totale silenzio. Ma in fondo, di solito uno non tiene un diario per farlo leggere. Che poi a volte capiti, è un’altra storia. </div>
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In questo caso, per esempio, Daniel Pennac si è trovato tra le mani - e successivamente ha deciso di pubblicare - una pila di quaderni che il padre della sua amica Lison le ha lasciato in eredità dopo la sua morte avvenuta nel 2010. </div>
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<a href="http://4.bp.blogspot.com/-UqHpALGjFBs/Vb0A7BGte9I/AAAAAAAACGM/df5h0HUadlU/s1600/storiadiuncorpo2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="208" src="http://4.bp.blogspot.com/-UqHpALGjFBs/Vb0A7BGte9I/AAAAAAAACGM/df5h0HUadlU/s320/storiadiuncorpo2.jpg" width="320" /></a></div>
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Avvertenza: l'opera non ha niente a che vedere con il classico diario intimo: i sentimenti, la vita professionale, le opinioni, le conferenze e le “battaglie” sociali di quest’uomo “taciturno, ironico, dritto come un fuso, accompagnato da una reputazione internazionale di vecchio saggio di cui non si curava minimamente” entrano solo raramente nelle pagine. Si tratta piuttosto di un diario fisico. Il diario di un corpo, iniziato a dodici anni per vincere l’incontrollabile paura dello specchio. Il giovane narratore, infatti, ha vissuto l’infanzia all’ombra di un padre reduce sconvolto dalla prima guerra mondiale; un uomo inconsistente, ormai ridotto a fantasma, a cui il bambino ha cercato disperatamente di assomigliare, fino a diventare un ragazzino “trasparente”, preda delle prepotenze dei coetanei. Ebbene, giunto alle soglie dell’adolescenza, il protagonista decide di plasmare il proprio corpo, di prenderne possesso e diventarne padrone. Strumento deputato a questa operazione è, oltre al costante esercizio fisico, la parola scritta. La pagina su cui fissare il pensiero diventa quindi il ponte tra una mente e un corpo apparentemente lontanissimi. </div>
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È sorprendente l’acutezza con cui il ragazzino prende coscienza e trova rimedio a questo scollamento, trasformandosi ben presto in un giovane sano e forte, protagonista di una vita densa e avventurosa. </div>
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Superati però i rivolgimenti e le conquiste dell’adolescenza, la narrazione si fa però più faticosa: l’età adulta non ha lo stesso respiro filosofico della gioventù, e spesso le pagine si riducono alla cronistoria di grandi e piccoli acciacchi. Un ulteriore scarto si ha infine nella parte dedicata alla vecchiaia: il decadimento fisico viene trattato con delicatezza, senza piagnistei. Come un progressivo spegnimento, che trasmette al lettore la serenità del destino compiuto. </div>
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In generale, comunque, trovo che, ben più della parabola del fisico e degli affetti del protagonista, siano degne di nota le riflessioni di carattere generale: il corpo presentato come “compagno di viaggio”, vera e propria “macchina per essere”. “Giardino segreto” coltivato insospettabilmente nei ritagli di una vita pubblica e privata ricchissima. Perché tutta questa attenzione alla segretezza, alla privatezza della sfera fisica? In primo luogo senz’altro per una questione generazionale: il protagonista, nato nel 1923, si descrive come un “borghese della sua epoca, i quelli che usano ancora il punto e virgola e non si presentano mai al tavolo della prima colazione in pigiama, ma freschi di doccia, ben rasati, nel loro impeccabile abito da giorno”. Inevitabile quindi il riserbo, l’istinto di preservare in una dimensione pudicamente privata la fisicità, sentita probabilmente come qualcosa di cui vergognarsi. </div>
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Eppure – e questo è forse l’aspetto che rende attuale la <i>Storia di un corpo</i> – nonostante la sua continua sovraesposizione, “sui rapporti che la mente stabilisce con esso [il corpo] in quanto scatola delle sorprese e distributore di deiezioni, oggi il silenzio è altrettanto fitto che ai miei tempi”. Anche oggi, dunque, schiavi ancora e nonostante tutto del dualismo di Cartesio, fatichiamo a concepire la nostra mente e il nostro corpo come una cosa sola. E forse è proprio per questo che il tentativo dell’autore del diario di ricomporre le due dimensioni ci risulta così riconoscibile, e in definitiva, simpatico.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-92162573545829626142015-07-25T19:34:00.002+02:002015-09-13T23:00:33.774+02:00Recensione #64: Fossi in te io insisterei<div style="text-align: justify;">
<b>Tentativo di lettera al padre</b></div>
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Per prima cosa bisogna dire che da sola non avrei mai comprato questo libro. Non lo dico per giustificarmi, anzi: sono contenta di essermi imbattuta in qualcosa che secondo i miei gusti non avrei mai scelto. Ma tant’è. Me l’ha messo in mano mia madre, che a sua volta l’ha acquistato al mare credo in mancanza di idee migliori. E poi l’ha letto mio fratello, che da almeno tre anni non riesce a superare la pagina 20 di qualsiasi libro non sia un manuale di giurisprudenza, ma ha finito questo in due giorni.<br />
<br /></div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-8UAwEvZUo3c/VbPHNB88rhI/AAAAAAAACFo/JBH0HfH8N_Y/s1600/fossiinteioinsisterei2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-8UAwEvZUo3c/VbPHNB88rhI/AAAAAAAACFo/JBH0HfH8N_Y/s1600/fossiinteioinsisterei2.jpg" /></a></div>
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Entrambi mi hanno detto: “non è un capolavoro, ma si legge volentieri. Fammi sapere che ne pensi”. </div>
<div style="text-align: justify;">
E così, come sempre incuriosita, me lo sono fatto prestare e l’ho letto, e ora posso dire la mia. Condivido senz’altro sul fatto che non è un capolavoro. Che questo Carlo G. Gabardini (che poi sarebbe Olmo di Cameracafé, che sorpresa) avrebbe potuto metterci qualcosa in meno di 237 pagine per prendere coscienza della morte di suo padre. E che, ciò nonostante, <i>Fossi in te io insisterei</i> non è una lettura spiacevole. </div>
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Ma cerchiamo di andare con ordine. </div>
<div style="text-align: justify;">
Il libro è pensato come una lunga lettera che l’autore scrive al padre morto ormai da quindici anni, nel tentativo di fare ordine nella sua vita e di mettere una sana distanza tra sé e il fantasma del genitore, che – si intuisce – continua a influenzare le scelte e soprattutto le non-scelte dei suoi giorni. Fin da subito, infatti, Gabardini si descrive come un personaggio incapace di prendere anche la più piccola decisionie. A paralizzarlo è la paura di sbagliare; o forse quella di deludere la proiezione di suo padre che parla nella sua testa; o forse ancora – come dice mio fratello – l’indecisione cronica di questa generazione senza guide e senza valori, che spinge le persone a volersi sempre lasciare tutte le porte aperte… o forse tutti questi fattori e molti altri ancora. Fatto sta che, giunto ai quarant’anni, il nostro Olmo si ritrova a voler dare una svolta alla sua vita; e per farlo intuisce di dover fare i conti con un padre che, oltre all’affetto e alla tenerezza e alla determinazione, gli ha trasmesso la paralizzante idea che “o perfetti o niente”. Che ben presto si rivela un fardello piuttosto pesante da portare. </div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-tB1z1f1svkQ/VbPH0AKmFUI/AAAAAAAACFw/WsbVTrt9850/s1600/fossiinteioinsisterei.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-tB1z1f1svkQ/VbPH0AKmFUI/AAAAAAAACFw/WsbVTrt9850/s1600/fossiinteioinsisterei.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel tentativo di fare ordine, l’autore ci racconta sommariamente la vita sua e della sua famiglia fino alla scomparsa del padre. Una famiglia numerosa, cresciuta in armonia e serenità, piena di aneddoti che fanno simpatia… (ma questo forse perché tra avvocati, senso del dovere e ritorni sul Lago Maggiore tra le pagine ho respirato una certa aria di casa). </div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo la morte del capofamiglia, però, le cose si inceppano, sia nella vita del povero Carlo G., sia – ahimé – nella narrazione, che si fa più frammentaria e disordinata. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nella seconda dell’opera, Gabardini vorrebbe probabilmente elencare le tappe salienti della sua storia; di fatto invece infila una serie di aneddoti più o meno autocelebrativi (a che scopo per esempio riportare tutto il canovaccio del suo filmato contro l’omofobia? Sorge il dubbio che qualcuno volesse farsi bello agli occhi del papà… e forse anche dei lettori), tra cui spiccano quelli legati all’attivismo per i diritti dei gay. Che però non credo c’entrino granché col padre, e che l’autore troppo spesso affronta con l’aria di volersi vestire da scemo, e di fatto in modo piuttosto superficiale... Il risultato è che a un certo punto si perde un po’ il filo: di cosa stiamo parlando? Di una famiglia felice, di un padre ingombrante e non perdonato e in fondo neanche mai apertamente accusato, di diritti degli omosessuali, o di cos’altro? Probabilmente solo di uno che non sa bene cosa sta facendo e perché, e piuttosto onestamente cerca di fare chiarezza nel suo animo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Il tentativo è senz'altro ammirevole. L'unico dubbio – al di là della simpatia che suscita il personaggio quando non scade nella macchietta – è se di tutto questo groviglio avesse senso fare un libro.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-68621281419924147822015-07-20T10:08:00.000+02:002015-07-20T10:08:08.845+02:00Renato Serra: attualità del "lettore di provincia"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-EtRvhdnEbJ4/VayrdNgTM0I/AAAAAAAACFU/Etk8x-W7Hic/s1600/renatoserra.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://3.bp.blogspot.com/-EtRvhdnEbJ4/VayrdNgTM0I/AAAAAAAACFU/Etk8x-W7Hic/s200/renatoserra.jpg" width="141" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Ogni volta che mi capita di leggere qualcosa di Renato Serra, mi stupisco e rammarico del fatto che la cosa più nota associata al suo nome sia un cavalcavia milanese pieno di autovelox.</div>
<div style="text-align: justify;">
La vita breve e defilata, la produzione letteraria discontinua e spesso inconclusa, le debolezze sul piano umano del “lettore di provincia” non bastano infatti a cancellare l’acutezza del suo sguardo e delle sue parole. Parole che ancora oggi, a cento anni esatti dalla sua scomparsa, sono in grado di raccontare con straordinaria efficacia la crisi del ruolo del letterato nel Novecento (e forse anche del Duemila…).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Continua a leggere su <a href="http://www.cultweek.com/renato-serra/">Cultweek..</a>.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-47476102826218053712015-07-13T12:09:00.000+02:002015-07-13T12:10:39.261+02:00Recensione #63: Urbino, Nebraska<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;">
<b>L’incantesimo
della Città Ideale<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-eEJNcLyEt_Y/VaOLV0ezghI/AAAAAAAACEw/vVM-2GMjZVA/s1600/urbinonebraska.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/-eEJNcLyEt_Y/VaOLV0ezghI/AAAAAAAACEw/vVM-2GMjZVA/s1600/urbinonebraska.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
Finalmente un libro da consigliare per l’estate.
Non proprio una novità editoriale (è del 2013), ma poco male. <i>Urbino, Nebraska </i>è un’opera appassionante
e non facile, sulla provincia e la provincialità italiane, sui drammi, le
piccolezze, le frustrazioni e i dubbi degli abitanti di una realtà destinata a
rimanere ai margini.</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
Vera protagonista della narrazione è Urbino, nel
titolo significativamente accostata al Nebraska, paese con cui condivide la
condizione di provincia defilata e deprimente, e da cui, che si fugga o si
rimanga, sempre in qualche modo si rimane condizionati.</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
È quanto accade a Zena, Nicola, Mattia e Federico,
protagonisti dei quattro racconti che compongono l’opera, sottilmente invischiati
nella trama di ricordi, riferimenti, avvenimenti e relazioni che costituiscono il
cuore pulsante e paralizzato della città. Una trama sottile, di cui quasi
perdiamo le tracce tra le pagine, ma anche forte e mortifera come la tela di un
ragno. Emblematica da questo punto di vista la morte di Ester e Bianca, due
sorelle stroncate da un’overdose alla Fortezza Albornoz, la cui scomparsa
continua a riproporsi e a condizionare i personaggi dei racconti: Zena,
studentessa piena di paranoie, vorrebbe portare conforto alla
loro madre, ormai anziana e afflitta da demenza, che sarebbe poi la zia di
Nicola, aspirante monaco con un passato da promessa della musica. E ancora: le
due ragazze ossessionano anche Jacopo Martelli, scrittore fallito, e di
riflesso il suo amico Mattia, che da Urbino è fuggito tanti anni fa, ma che a
Urbino sempre ritorna, col pensiero e nei fatti, schiacciato da legami che non
sa far diventare adulti. Infine, anche il piccolo Federico, protagonista dell’ultimo racconto, a cui è affidata l’unica breve nota di speranza del libro, viene
toccato dal dramma di Ester e Bianca, che pure si è consumato tanti anni prima.
A trovare i corpi delle due ragazze è stato infatti suo nonno, e ora i loro
spiriti tornano a far visita al bambino sotto forma di uccellini. </div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-BoNZoajvRAE/VaOMBYMYGwI/AAAAAAAACE4/NEuYgJZ8p1U/s1600/urbinonebraska2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="115" src="http://1.bp.blogspot.com/-BoNZoajvRAE/VaOMBYMYGwI/AAAAAAAACE4/NEuYgJZ8p1U/s400/urbinonebraska2.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
Soprattutto quelle dei primi tre racconti sono storie di quotidiana angoscia, che si gonfia e rimbalza tra le mura e
le squallide periferie della Città Ideale, senza trovare sollievo o
scioglimento. Storie di personaggi che, in modi e momenti diversi, cercano
disperatamente la propria strada e si scontrano con le proprie insanabili
debolezze. Perché di Urbino e dei suoi fantasmi, sembra dirci l’autore, non ci
si libera.</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
La morte di Ester e Bianca è forse l’unico <i>fatto</i> (per il resto sono tutti tentativi, pensieri, aspirazioni e dubbi) dell’opera, e non a caso è relegato in un passato quasi remoto. Ma ciò nonostante, Zena, Mattia, Nicola e tutti gli altri, incapaci di decisioni e di vita propria, gravitano intorno al loro dramma con pruriginosa insistenza. In questo senso, quindi, Urbino si manifesta come la vera e propria “costola mancante” dei suoi abitanti (a questo proposito, si legga l’interessante intervista all’autore su <a href="http://www.labalenabianca.com/2015/06/25/urbino-e-una-strada-nella-neve-intervista-ad-alessio-torino/" target="_blank">La Balena Bianca</a>).</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
Alessio Torino sa raccontare le vibrazioni minime
e i più piccoli movimenti dell’animo umano, il susseguirsi dei giorni sempre
uguali e sempre più inutili con una precisione e una forza rare, con frasi brevi,
solo apparentemente semplici, che lasciano al lettore – finalmente – la fatica
e lo spazio di insinuarsi tra le pieghe dei pensieri dei protagonisti. </div>
<br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
Gli amanti dell’azione e del lieto fine, ma
soprattutto dei finali precisi, le storie che si chiudono senza sbavature all’ultima
pagina, stiano lontani da <i>Urbino,
Nebraska. </i>Tutti gli altri, invece, se lo procurino quanto prima. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-15700995625945202842015-07-11T12:03:00.000+02:002015-07-11T12:03:46.371+02:00Recensione #62: Chi manda le onde<div style="text-align: justify;">
<b>Leggerezza mancata</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-E7w1pwdKrh4/VaDmerM3h3I/AAAAAAAACEQ/OBSfAXyjoIE/s1600/chimandaleonde.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-E7w1pwdKrh4/VaDmerM3h3I/AAAAAAAACEQ/OBSfAXyjoIE/s1600/chimandaleonde.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
A volte penso che per capire un libro (o una tesi di laurea) basta leggere la pagina dei ringraziamenti. Prendiamo <i>Chi manda le onde</i>: se invece di farmi incantare dalla copertina marittima e dal solito specchietto per le allodole del “finalista al premio Strega” (che poi, diciamocelo, a parte <a href="http://nefelomanzia.blogspot.it/2014/12/recensione-56-la-ferocia.html" target="_blank">Lagoia</a>, tutti gli autori che ho incontrato che hanno avuto a che fare con lo Strega sono stati una delusione), avessi letto subito che Fabio Genovesi conclude i suoi ringraziamenti con un ridicolo “ci si vede”, forse mi sarei risparmiata questo improbabile mattone estivo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Serena è una donna bellissima (di quelle bellezze noiosamente libresche che rimangono intatte, anzi migliorano, nonostante gli anni le gravidanze i lutti e i pantaloni militari) e irrequieta. Madre single di due adolescenti originali e affascinanti (tralasciamo gli improbabili dettagli sui loro concepimenti), si barcamena come può tra il lavoro da parrucchiera e le maldicenze di Forte dei Marmi in bassa stagione. </div>
<div style="text-align: justify;">
Quando il suo piccolo mondo imperfetto le crolla addosso all'improvviso, a risollevare quel che resta della sua vita intervengono una serie di improbabili personaggi: da Sandro, quarantenne fallito, invariabilmente innamorato di lei dai tempi del liceo; a Zot, orfanello radioattivo appassionato di Claudio Villa; a Ferro, ex bagnino ex combattente che si oppone akla minaccia russa dalla sua casetta nel bosco, cattivissimo in apparenza ma con un cuore d’oro.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-NlB_R09CxYA/VaDnuWN3dBI/AAAAAAAACEc/rAFdWQEgDsQ/s1600/chimandaleonde2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="245" src="http://1.bp.blogspot.com/-NlB_R09CxYA/VaDnuWN3dBI/AAAAAAAACEc/rAFdWQEgDsQ/s320/chimandaleonde2.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Oltre a tutti questi attori, a metà tra lo scontato e l’incredibile, le pagine sono affollate da una pletora di figuranti completamente superflui ai fini della trama, che probabilmente nelle intenzioni dell’autore dovevano dar vita a un affresco brulicante di vita, ma che di fatto sono solo un’accozzaglia di storielle senza un perché. Ecco allora il prete appassionato di documentari, la vecchia che ripensa alle scappatelle di gioventù, la nasona la notte del suo addio al nubilato, l’appassionato di tecniche militari che in realtà è gay ma ancora non lo sa. </div>
<div style="text-align: justify;">
Come se non bastasse, a complicare ulteriormente il quadro, Genovesi, assume di volta in volta il punto di vista di quasi tutti i personaggi (alcuni sono esclusi da questo privilegio non si sa perché), prendendo addirittura il <i>Tu</i> quando parla per Serena e l’<i>Io</i> quando invece illustra i pensieri di sua figlia Luna - che tra parentesi ha tredici anni, non quattro – nel disperato tentativo, tra una metafora e una riflessione pseudoesistenziale, di spiegarci come dovrebbero sentirsi una madre single in crisi, un disoccupato nel momento in cui trova il porcino più grande del mondo, un’albina quando si tuffa in mare a settembre. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Bene, di cosa parla <i>Chi manda le onde</i> in tutto questo turbinio di voci, suoni e parole? Direi di tante cose ma soprattutto di nessuna. Ho l’impressione che vorrebbe essere un romanzo che affronta con leggerezza dei temi pesanti, come la morte, la disoccupazione, la solitudine, la diversità. Solo che non ci riesce. La leggerezza è un dono, e mi pare che a Genovesi – almeno in questo libro, di altri non so dire – manchi. Nel tentativo di trasformare il suo dramma in una fiaba, l’autore fa un gran pastrocchio di sentimenti e suoni, che ora della fine innervosisce solamente.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-63849206196532275452015-06-27T15:20:00.000+02:002015-06-27T15:20:50.470+02:00Recensione #61: La vita sessuale dei nostri antenati<div class="MsoNormal">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Saga familiare per l’estate<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-YGT0j91rtSQ/VY6iTZDMUEI/AAAAAAAACDo/PGHkOK_K-wI/s1600/biancapitzorno.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="http://1.bp.blogspot.com/-YGT0j91rtSQ/VY6iTZDMUEI/AAAAAAAACDo/PGHkOK_K-wI/s320/biancapitzorno.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In principio fu <i>L’incredibile
storia di Lavinia. </i>Poi <i>Ascolta il mio
cuore</i>, che Tita mi leggeva in giardino, aspettando di andare in spiaggia, in
un’estate di ormai più di vent’anni fa. Poi <i>Polissena
del Porcello, Re Mida ha le orecchie d’asino, Diana Cupido e il commendatore </i>e
tutti gli altri<i>, </i>divorati nella
nicchia vicino alla finestra di camera mia. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I romanzi di Bianca Pitzorno hanno modellato la mia
infanzia, nutrito la mia fame di storie per tutti gli anni delle elementari.
Poi, come per tutti, le cose sono cambiate. La scuola ti impone di leggere altro,
tu vuoi dimostrare di capire tutte le parole dei libri “da grandi”, e ciao.
Improvvisamente Bianca Pitzorno e le sue eroine coraggiose assumono le tinte
tenui delle letture del passato. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E invece capita che un giorno, vagando per il nuovissimo e
deludente megastore della Mondadori, ti ritrovi davanti un malloppo di quasi
500 pagine firmato da lei. Il titolo non lascia dubbi: si tratta di un romanzo “da
grandi”. E tu non resisti, lo compri, pensando che tanto tra poco si va al
mare, e tutte quelle pagine troverai un modo per consumarle sotto l’ombrellone.
Invece sotto l’ombrellone non ci arriveranno mai, perché le hai archiviate in
un paio di notti milanesi, complici l’insonnia, la gravidanza o chissà che. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Mettiamola così: se lasciarsi divorare come si divora un
libro da ragazzini è un parametro per misurare il valore di un’opera, <i>La vita sessuale dei nostri antenati </i>è un
romanzo perfettamente riuscito. Se il nome della Pitzorno vi evoca stupendi
pomeriggi d’infanzia, questo libro avrà il potere di riportarvi indietro nel
tempo; alla sete infinita di pagine, solo per scoprire come va a finire la
storia… Se però cercate qualcosa di più, se avete voglia di leggere un vero
romanzo “da grandi”, direi che è meglio girare al largo.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-i2w5QPGZ_tg/VY6iiTHd-AI/AAAAAAAACDw/HgbTsZY7t28/s1600/lavitasessualedeinostriantenati.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/-i2w5QPGZ_tg/VY6iiTHd-AI/AAAAAAAACDw/HgbTsZY7t28/s320/lavitasessualedeinostriantenati.jpg" width="210" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La vita sessuale dei
nostri antenati </i> è senz’altro la saga
familiare più lunga (la storia è ambientata negli anni ’90, ma con i flashback
si va indietro di parecchi secoli) e ricca di colpi di scena che abbia letto negli
ultimi anni. Tra annegamenti, aborti, figli rifiutati e tradimenti, le famiglie
Bertrand e Ferrel, rintanate nella quiete ovattata delle cittadine immaginarie
di Donora e Ordalé, potrebbero tranquillamente fare invidia a quelle di
Beautiful. Qui in più ci sono il gusto dell’autrice per il racconto, la sua indubbia
capacità narrativa, asservite però a un fine che non è molto più alto di quello
di <i>Polissena del Porcello. <o:p></o:p></i></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Voglio dire, non basta scrivere “vita sessuale” nel titolo, né
far iniziare il romanzo con un orgasmo, per superare la struttura e il livello
di un romanzo per ragazzi. Così come non basta sostenere che la protagonista è
una femminista senza pregiudizi perché poi risulti effettivamente più emancipata dei suoi parenti bigotti e
provinciali. E soprattutto non basta troncare una storia a un certo punto per
creare un finale sospeso! Per 500 pagine, con <i>La vita sessuale dei nostri antenati</i> sono tornata bambina. Non mi
si può chiedere poi, arrivata alla fine, di rinunciare a sapere chi era uomo e
chi donna, chi era figlio di chi e se lei torna col fidanzato. Questa è una
vera e propria scorrettezza. Dall’autrice dell’<i>Incredibile storia di Lavinia </i>proprio non me l’aspettavo. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-58636047275838578102015-06-22T11:31:00.000+02:002015-06-27T15:21:31.986+02:00Recensione #60: L'estate infinita<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Infinita nostalgia di estate</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-twe8lwN0Jz8/VYfVgj--RXI/AAAAAAAACBA/K15SfCyRwjU/s1600/estate%2Binfinita.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://2.bp.blogspot.com/-twe8lwN0Jz8/VYfVgj--RXI/AAAAAAAACBA/K15SfCyRwjU/s320/estate%2Binfinita.png" width="225" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Tra caldi epici e ricadute novembrine, anche quest’anno siamo arrivati alla metà di giugno. I maturandi lottano contro la terza prova, e io mi ritrovo a sognare eterni pomeriggi in spiaggia, in compagnia di un bel romanzone italiano. E quale libro migliore di <i>L’estate infinita</i> di Edoardo Nesi per amplificare la mia già preoccupante voglia di vacanza?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’atmosfera del libro è perfettamente intonata al titolo: fin dalle prime pagine, si respira il clima rarefatto delle interminabili estati dell’infanzia… quelle in cui sei sereno, e sprechi un sacco di tempo, ma fai anche un sacco di cose, e comunque non riesci a pensare a settembre, all’autunno e alla scuola.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’estate infinita dell’opera è quella dell’Italia degli anni Settanta. Una specie di isola felice, in cui chiunque può arricchirsi e coronare i propri sogni, a patto – questo sì – di lavorare come un matto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="http://www.cultweek.com/estate-infinita/" target="_blank">Continua a leggere su Cultweek</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-37400535329305751712015-06-01T10:13:00.001+02:002015-06-01T10:13:50.366+02:00Recensione #59: Troppa importanza all'amore<b>La consapevolezza dell'amore</b><div>
<b><br /></b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-D3kj-bKoUCE/VWwTnE60vwI/AAAAAAAACAY/g3diYxd7Zf8/s1600/6237703_387627.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/-D3kj-bKoUCE/VWwTnE60vwI/AAAAAAAACAY/g3diYxd7Zf8/s320/6237703_387627.jpg" width="204" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Per prima cosa bisogna dire che <i>Troppa importanza all’amore</i> è un titolo bellissimo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Giustamente ermetico, giustamente evocativo, ti fa pensare che il libretto elegante che hai tra le mani, poche pagine, carta ruvida e copertina minimal, ti dirà qualcosa che ancora non sapevi o non avevi sentito sulle storture delle relazioni nella società contemporanea.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa la disposizione d’animo con cui mi sono affacciata all’ultima raccolta di Valeria Parrella: otto racconti brevi, voci e argomenti diversi, e una lingua flessibile e affilatissima asserviti a un ambizioso obiettivo: catturare la scoperta, e la conseguente accettazione, della propria condizione da parte dei personaggi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-54575857876133600302015-05-18T09:54:00.002+02:002015-05-18T09:56:13.553+02:00Recensione #58: Sette anni di felicità<b>Un concentrato di vita</b><br />
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-M3IWYAuKPpM/VVma_5EmbFI/AAAAAAAAB_4/Zqu-e9reNTk/s1600/6092799_372090.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://3.bp.blogspot.com/-M3IWYAuKPpM/VVma_5EmbFI/AAAAAAAAB_4/Zqu-e9reNTk/s200/6092799_372090.jpg" width="126" /></a></div>
Mi sono fatta convincere a leggere <i>Sette anni di Felicità</i> di Etgar Keret da una bella recensione, trovata non ricordo dove, in cui si diceva che il libro parla di padri e figli, guerre, feste, ebraismo e persecuzione, matrimonio, scrittura… insomma, tutto quello che ci si aspetta di trovare nel resoconto di sette anni di vita di uno scrittore israeliano di successo.</div>
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Sette anni di felicità in effetti è un’opera autobiografica: sette parti (una per anno) e trentasei racconti brevi, ognuno dei quali racconta un episodio della vita a Tel Aviv dell’autore, dalla nascita del figlio Lev alla morte del padre.</div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-11404077584415518912015-05-10T18:38:00.000+02:002015-05-10T19:11:13.630+02:00Recensione #57: Dentro<br />
<b>La vita da<i> Dentro </i></b><br />
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Approfitto di questa domenica di sole e pace per provare a recuperare le buone abitudini, e scrivere due parole su <i>Dentro</i>, l’incensatissima e pluripremiata opera d’esordio di Sandro Bonvissuto. </div>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-d9STtIJgCK4/VU-Q_OplHpI/AAAAAAAAB_E/QhmmpTqeb5g/s1600/978880620844MED.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-d9STtIJgCK4/VU-Q_OplHpI/AAAAAAAAB_E/QhmmpTqeb5g/s1600/978880620844MED.jpg" /></a></div>
Tre racconti non autobiografici che ripercorrono a ritroso l’esistenza di un unico io narrante: si comincia con l’esperienza del carcere di <i>Il giardino delle arance amare</i>; si continua con la storia di un’esclusiva amicizia adolescenziale, tra le storture del sistema scolastico di <i>Il mio compagno di banco</i>; e si conclude con le drammatiche scoperte infantili di <i>Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta.</i></div>
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Innanzitutto una precisazione sul titolo: “Dentro” non è - come credevo - un richiamo alla prigione di cui si parla nel primo e più celebrato racconto; piuttosto, direi che è un riferimento a una dimensione di appartenenza: in tutti e tre i racconti, infatti, il protagonista-narratore si trova, per motivi sempre diversi, a far parte di un gruppo sociale, un sottoinsieme di persone in qualche modo ai margini del sistema. In <i>Il giardino delle arance amare</i> il microcosmo in questione è quello della cella, con le sue regole, le sue frustrazioni e le sue amicizie forzate. In <i>Il mio compagno di banco</i>, è la realtà della “diarchia”, la relazione di completa simbiosi del protagonista con l’amico, che porta i due a schierarsi compatti contro genitori e istituzioni. Nel terzo racconto, infine, il gruppo di cui l’io narrante vuole far parte è quello dei “bambini che sanno andare in bicicletta”, ben distinto da quello dei bambini piccoli, che ancora non sanno andarci, ma anche fieramente opposto al mondo degli adulti.</div>
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Tutta l’opera si costruisce quindi sull’opposizione tra un mondo “fuori” (i liberi/i compagni di classe/gli altri bambini e i grandi) e la realtà “dentro” cui l’io narrante si colloca – paradossalmente – con sempre maggiore consapevolezza. Perché, se in carcere le relazioni con i compagni di cella sono una questione di sopravvivenza, per il giovanissimo protagonista del terzo racconto il riconoscimento del bisogno e la conseguente scelta di imparare ad andare in bicicletta sono presentati con piena consapevolezza, come il passaggio volontario da uno stadio evolutivo a quello successivo. </div>
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<a href="http://4.bp.blogspot.com/-SlUSlBwOE9A/VU-REktrtvI/AAAAAAAAB_M/bOp13cwTACg/s1600/sandro-bonvissuto-einaudi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-SlUSlBwOE9A/VU-REktrtvI/AAAAAAAAB_M/bOp13cwTACg/s1600/sandro-bonvissuto-einaudi.jpg" /></a></div>
“Dentro non è un libro autobiografico. Non parla della mia vita, ma della vita” è l’ambiziosa epigrafe che troviamo sul <a href="http://www.sandrobonvissuto.it/" target="_blank">s</a>ito dell’autore. </div>
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Immagino che in effetti l’intento di Bonvissuto fosse proprio quello di dire qualcosa sulla condizione umana, sempre in bilico tra un mondo sentito come “altro” e una realtà più piccola, costruita e conquistata con fatica, in cui l’uomo costruisce ripari temporanei.</div>
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L’impressione però è che la volontà di dimostrare questo assunto vada un po’ a scapito della naturalezza del racconto. Prova ne siano le continue sentenze che punteggiano la narrazione e che diventano davvero insistenti in <i>Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta</i> (“da vicino tutto è solo quello che è, e cioè la somma di quello che vediamo[…].”; “perché è solo il vento a cambiare le cose, sennò queste, da sole, non cambiano mai […]; “forse perché tutto quello che appartiene al passato sta a un livello più basso rispetto alla superficie, si trova nelle buche […]”; etc.).</div>
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Insomma, l’autore è senz’altro in grado di descrivere con lucidità temi e momenti delicati, di costruire immagini potenti ed efficaci ("il muro è il più spaventoso strumento di violenza esistente. Non si è mai evoluto, perché è nato già perfetto"). Tuttavia, al di là delle frasi a effetto, si respira tra le pagine l’urgenza di dimostrare una tesi, che penalizza la piacevolezza e la credibilità della narrazione. Peccato.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/12028359031081216030noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1879194627430968189.post-88199317686170902252015-01-29T17:10:00.000+01:002015-01-29T18:16:10.296+01:00Film #17: American Sniper<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-DbGCfld1DxY/VMpa-7zuxvI/AAAAAAAAHjE/-5wkw8OjhtI/s1600/american-sniper-poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-DbGCfld1DxY/VMpa-7zuxvI/AAAAAAAAHjE/-5wkw8OjhtI/s1600/american-sniper-poster.jpg" height="320" width="216" /></a>American Sniper (Clint Eastwood) è tratto dall'autobiografia di Chris Kyle (Bradley Cooper), il più grande cecchino della storia degli Stati Uniti d'America.<br />
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La vicenda è incentrata sulla figura di questo infallibile e quasi leggendario cecchino americano e sullo scontro a distanza con la sua controparte irachena. Questo dualismo diventa quasi un duello epico capace di decidere l'esito dell'intera guerra.<br />
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Il film è caratterizzato da un'alternanza tra scene belliche e scene di vita familiare; tra il fronte iracheno, dove il soldato Kyle diventa un eroe, e l'America dove la guerra sembra non esistere. In Iraq Kyle è un eroe, in America è un emarginato, perchè incapace di tornare veramente a casa, di uscire dalla guerra. Guerra che è un terribile strumento per difendere i propri cari e il proprio paese. Guerra che entra dentro i soldati segnandone per sempre il corpo e la mente.<br />
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Eastwood racconta la vita di questo eroe americano in modo estremamente essenziale, senza arricchire la vicenda di inutili fronzoli retorici.<br />
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Il più grande merito del regista è però quello di raccontare una storia difficile e impegnata senza imporre il suo punto di vista. Niente è bianco, niente è nero.</div>
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<a href="http://4.bp.blogspot.com/--CmLQB-PAww/VMpbCYbYNPI/AAAAAAAAHjM/5munw3UEfko/s1600/thumbnail_19703.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/--CmLQB-PAww/VMpbCYbYNPI/AAAAAAAAHjM/5munw3UEfko/s1600/thumbnail_19703.jpg" height="112" width="200" /></a></div>
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American Sniper è una storia fortemente americana, che noi non possiamo comprendere pienamente, ma solo osservare da fuori. Forse per questo lo spettatore italiano non viene completamente coinvolto dal punto di vista emotivo. Nonostante ciò, finito il film, rimarrete in silenzio a veder scorrere i titoli di coda e, sempre in silenzio, vi alzerete dalla poltroncina e uscirete dalla sala. Solo fuori, all'aria aperta, potrete iniziare a respirare.</div>
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<br />Lattihttp://www.blogger.com/profile/01139417987076164663noreply@blogger.com0