giovedì 18 luglio 2013

Film #12: Il fondamentalista riluttante

Il fondamentalista riluttante è un bel film con un pessimo titolo.
Il protagonista della vicenda è Changez Khan (Riz Ahmed), un discusso professore universitario di Lahore (Pakistan), collega di Anse Rainier, un cittadino americano rapito da una cellula terroristica. Il film è per gran parte un lungo flashback, in cui Changez racconta ad un giornalista la sua esperienza negli Stati Uniti alla ricerca del sogno americano a cavallo dell’ 11 settembre.

Il fondamentalista riluttante non è solo un thriller politico, ma è soprattutto la storia di Changez, narrata con maestria e veridicità, in cui tutti i personaggi sono vivi e non esistono buoni o cattivi. Molte volte si pronuncia questa frase, ma questa volta è tutto vero! Tutte le azioni dei personaggi hanno sempre un movente che, se non è condivisibile, è assolutamente comprensibile.

Dopo un bel film si può sempre riflettere. Il fondamentalista riluttante non fa eccezione!
Tra tutti gli spunti possibili io ne scelgo uno (non il principale) che mi sta particolarmente a cuore: l’accettazione e la conoscenza di sé. Finché si inseguono dei desideri che non sono veri, ma puramente materiali, finché si è dominati dall’ambizione, finché non si conosce se stessi e non si riesce a vivere con se stessi indipendentemente dal contesto, non è possibile essere a casa. La casa non sarà né in Pakistan né negli USA, né nell’amore e nemmeno nel lavoro.
Per questo penso che Il fondamentalista riluttante non sia solo un film politico, ma anche la storia un uomo e dell’uomo.

Il più grande merito del film è nel raccontare tutto questo in modo avvincente. Lo spettatore è completamente coinvolto nella vicenda, anche perché in essa si identifica.

mercoledì 10 luglio 2013

Recensione #43: La verità sul caso Harry Quebert

Il romanzo dell’estate

Signore e Signori, ecco a voi il libro dell’estate.
Ebbene sì, è successo. In un momento di incertezza sociopolitica culturale pressoché completa, in cui il bombardamento mediatico impedisce di stabilire con decisione perfino il tormentone musicale delle vacanze 2013, un ventottenne di Ginevra è riuscito a convincere me (e alcune ben più autorevoli firme del giornalismo italiano) di aver scritto il romanzo che vi farà dimenticare di starvi ustionando sotto il solleone.
Non fatevi spaventare dalle 780 pagine: io l’ho letto senza alcuno sforzo in una settimana, e il papà di Fede addirittura in quattro giorni. La verità sul caso Harry Quebert è un libro che si fa divorare.

"Nella primavera del 2008, quasi un anno dopo essere diventato una star della letteratura americana scoprii che il mio professore d'università, Harry Quebert, oggi 63enne, uno degli scrittori più stimati del paese, aveva avuto una relazione con una ragazza di 15 anni quando lui ne aveva 34. Era l'estate del 1975..."

Ecco come Marcus Goldman, protagonista narratore, introduce la vicenda. Qualche mese dopo la scioccante scoperta sul passato del suo mentore, nel giardino di Harry Quebert viene ritrovato il cadavere della giovane amata. Il famoso scrittore viene immediatamente accusato di omicidio. Toccherà quindi al fedele discepolo Goldman, tormentato da un prevedibile blocco dello scrittore, cercare La verità sul caso Harry Quebert.
Oltre all’indagine, in queste pagine, troviamo un po’ di tutto: consigli per scrivere un buon romanzo, critiche al sistema editoriale scandalistico contemporaneo, la boxe come metafora della vita, pillole di saggezza, delusioni, omicidi, colpi di scena a non finire, genitori stereotipati, una descrizione pungente della mentalità claustrofobica delle cittadine americane, amore proibito, amore ricambiato, amore non ricambiato, amore per una quindicenne, l’amore dei reietti… Troppa roba? Per una volta, non direi. Perché Joel Dicker, che a quanto pare prima di raggiungere il successo si è visto rifiutare ben cinque romanzi, riesce a mettere insieme tutti questi elementi per costruire una trama davvero valida. Una trama capace di tenerti sveglio fino a tardi, di farti fare mille ipotesi per poi disilluderle continuamente.


Sia chiaro a tutti, stiamo parlando del romanzo dell’estate, non del capolavoro della vita. Una diffusa debolezza stilistica mi trattiene da affermazioni estreme come: "il romanzo contemporaneo non sarà più lo stesso e nessuno potrà far finta di non saperlo" (Antonio d'Orrico). Però, nonostante i dialoghi piatti e i personaggi al limite della macchietta, La verità sul caso Harry Quebert  è un libro che sa trascinare.  Un libro che fa esattamente l’effetto che - secondo l’autorevole parere del maestro Harry Quebert - deve fare un bel romanzo: “All’incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l’ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un’emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito.”

giovedì 4 luglio 2013

Film #11: The Lone Ranger

The Lone Ranger è un film western, e questo è già un gran pregio. Infatti questo genere è ormai quasi abbandonato.
I produttori (Disney) hanno voluto proporre una versione moderna del western o semplicemente fare soldi spostando Jack Sparrow nel selvaggio west (sulle locandine c’è scritto orgogliosamente: “dal team de I pirati dei Caraibi”)?



Nel far west Butch Cavendish (William Fichtner), bandito con una malsana propensione al cannibalismo, con le sue scorribande minaccia di far saltare la pace tra indiani e Stati Uniti e, conseguentemente, la costruzione della ferrovia che dovrebbe attraversare tutto il paese.
Sulle sue tracce si mettono un texas ranger troppo idealista (Armie Hammer), un indiano completamente pazzo (Jhonny Depp), un cavallo ubiquo e una maitresse con una gamba d’avorio (Helena Bonham Carter), tutti animati da un personale desiderio di vendetta.

La trama, pur con qualche stravaganza, è quindi abbastanza banale. Il pregio  del film sta quindi nell’ironia con cui sono narrate tutte le vicende, anche se l’eccessiva durata genera una serie di spiacevoli stonature. Il risultato finale è quindi di una comicità fuori ritmo, si sorride quando si potrebbe ridere di gusto. Senza contare che alla lunga il troppo stroppia. E qui si esagera veramente. Solo i capolavori possono permettersi di durare 2.30 h. Parafrasando Callimaco: Mega filmìon, mega kakòn!
Affidarsi al 100% alla simpatia e bravura di Depp è una buona scelta per un filmetto di 90 min, non per un mega kolossal. Manca insomma la perfetta sintesi tra ironia e avventura de “La maledizione della prima luna”.
In definitiva The Lone Ranger è un semplice riadattamento del ciclo dei Pirati dei Caraibi, senza pregi né difetti. Il risultato finale non può quindi discostarsi molto da una risicata sufficienza.
Perché quindi non realizzare un buon sequel (tra l’altro già in pre-produzione)? Ma soprattutto: perché raccontare tutto in flashback?