lunedì 18 giugno 2012

Giorni e nuvole #5


Matteo. L’ultima sigaretta


L’ultima sigaretta è così: te la accendi sotto casa, a fine serata. Anche quando sei troppo stanco per parlare, ridere o pensare, prima di salire, ti ritagli ancora due minuti. Hai imparato a farlo al liceo, e anche oggi questi due minuti per te stesso ti sembrano un bel modo per finire la giornata.
Poi capita che sotto casa, nei tuoi due minuti per te stesso, certe volte passi Paolo, il compagno di giochi dell’infanzia, il vicino di casa di una vita. E capita che Paolo, se non è troppo ubriaco (o se non lo sei tu, e non è raro che invece uno di voi due lo sia) abbia voglia di fermarsi a chiacchierare. 
Così, sotto il cancello, certe volte capita che siate in due.

Questa sera, per esempio. Hai fatto chiusura al pub, e poi sei rimasto fuori, a parlare coi camerieri, macinando la notte a suon di birre. Col drummino che si spegneva sempre più spesso, perché a un certo punto non eri più granché lucido, e ti dimenticavi di fumarlo.

Così adesso sono le tre e mezza e tu sei ancora un po' ubriaco, ma lo stesso non ti sei levato dalla testa Adele. Quella fastidiosa aria di superiorità mentre ti spiegava quante cose belle e inutili sta facendo nella sua preziosa quotidianità radical chic. Testa di cazzo. Dopo dieci mesi di lavoro orario continuato voglio vedere se hai ancora voglia di insegnare teatro ai ragazzini.
Che poi tanta fatica per cosa: dopo quasi un anno da studente lavoratore, con tutti gli sbatti annessi e connessi, dopo il terzo contratto a progetto, decidono di segarti e tanti saluti. E non gliene fotte un cazzo di quanto ti sei fatto il culo, di quante cose hai trascurato nel frattempo. E così, con la tua bella laurea in tasca, dopo una cosiddetta “esperienza lavorativa qualificante”, devi ancora chiedere a tuo padre i soldi per uscir la sera.

Per fortuna però, proprio quando la sbronza si sta facendo troppo triste, quando stai per tirar fuori perfino il fantasma delle ex, che ti hanno lasciato perché lavoravi troppo, sotto il portone arriva Paolo.
«Oi ce l’hai una sigaretta?»
Ha il suo sorriso storto migliore, e gli occhi ancora sufficientemente svegli.
Gli offri il tabacco: «Fatto serata anche tu eh?»
«Macché serata! Questo è duro lavoro.» E ride.
Tira su il drum guardando altrove e ti racconta come sta: come sia la vita a lavorare in un centro sociale, e quanto è stronzo l’assessore, e quanto però non vorrebbe fare niente di diverso.
Fa due tiri lunghi in silenzio, poi cambia argomento: «E tu? Cazzo ci fai qua sotto a quest’ora? Non vai al lavoro domani?»
Gli sorridi della confidenza di quest’ora, quella confidenza che prima con Adele non hai trovato: «Non mi han rinnovato.»
E Paolo ricambia con un dispiacere superficiale ma onesto, un dispiacere che Adele non avrebbe avuto:
«E adesso?»
«Adesso sto cercando, ma ovviamente non mi chiama nessuno.»
«Chiaro.»
Altra pausa. Ti riaccendi la sigaretta spenta.
«È che vorrei andarmene da casa dei miei, ma finché è così è impossibile.»
«Lascia stare, io ci ho rinunciato. Ho ventisette anni e almeno per altri tre non se ne parla.»
Ma Paolo non sembra triste. Sembra che si sia messo il cuore in pace, che aspetti pazientemente tempi migliori.
«O se no fai come mia sorella. Te ne vai in Australia un anno; impari la lingua, ti fai l’esperienza, e non ci pensi per un po’.»
La Vale. Da quant'è che non la vedi? Giocavate tutti e tre, in cortile. Pomeriggi assolati eterni in uno scenario sfocato che neanche i peggio film anni Novanta.
Senza pensarci, dai voce alle nostalgie: «Mi piacerebbe rivederla. Dovremmo uscire qualche volta.»
Lui ti guarda e scoppia a ridere. E in fondo lo sai anche tu che le rimpatriate sono sempre una merda.
«Senti io me ne vado a letto.»
Butta la cicca nel cestino.
«Mi ha fatto piacere vederti.»
«Anche a me.»

Paolo entra in casa, e tu rimani solo. E sostanzialmente cominci anche a sentirti un po’ un pirla, a startene sui gradini di casa senza voglia di entrare. Ma, sarà l’alcol la stanchezza o il fumo, finalmente ti sembra che vada un po’ meglio. Ti sembra che, se non vai a letto, non è perché sei troppo incazzato per dormire, ma perché ti va di goderti ancora un po’ il momento: è primavera, l’aria è fresca e la via silenziosa. Domani sarà un’altra giornata di niente, ma non importa. Adesso non stai male. Riaccendi la sigaretta; alla fine del giorno, nei tuoi due minuti sotto il portone, non stai male. E forse basta.


4 commenti:

  1. Bello questo "Giorni e nuvole"!

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  2. Sempre convinta che tu sia una grande narratrice, questa volta il racconto non mi ha emozionato come le altre volte. Rivedo certe espressioni e certi nomi che mi ricordano anche la mia di quotidianità, ma a differenza degli altri, non vedo che un susseguirsi di immagini senza che si componga nella mia mente un'immagine, anche solo sensoriale.
    In ogni caso ti seguo sempre e ammiro davvero molto il tuo blog, quindi spero che questa piccola critica non ti faccia pensar male: io sono e sarò sempre una tua grande fan! ;)

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  3. Ovviamente non mi offendo cara! Anzi, se hai altri suggerimenti non hai che da scrivermi! E comunque, già il fatto che ogni tanto i miei raccontini evochino delle immagini mi sembra un bel risultato :)
    Spero di convincerti di più settimana prossima!

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