Secondo
(fortunato) incontro col fumetto
Nessuno guarisce dalla propria infanzia…
Il mio amico Bebo (che figura tra i citati amici
appassionati di fumetti e che, non per niente, nella vita organizza le mostre dello WOW) non perde occasione per cercare di indottrinarmi (o
istruirmi?) sulla sua grande passione. Così, l’altra sera, memore di un mio vago
interessamento al fenomeno Zerocalcare (per chi non l’avesse mai visto, questo
è il suo blog), si è presentato a casa mia con un’ottima bottiglia di Moscato
in una mano, e Un polpo alla gola
nell’altra. Ho cominciato a leggerlo la sera stessa, incuriosita, ma anche scettica,
come sempre davanti ai successi conclamati.
Devo dire che, come già Portugal qualche settimana fa, è stata una lettura davvero
piacevole.
“Nessuno guarisce dalla propria infanzia”. Ecco
l’assunto fondamentale della trama, portato avanti con la diligenza di una
dimostrazione di geometria, nei tre episodi che compongono questo gustoso
grafic novel.
L’infanzia come una malattia crudele che lascia
segni indelebili sull’adolescenza e poi sulla vita adulta. Queste, a grandi
linee, le tappe della narrazione: prima, i meschini meccanismi e tradimenti dell’infanzia;
poi l’adolescenza insulsa; infine, la maturità (be’, non sono sicura che per i
protagonisti si possa parlare di maturità… diciamo i trent’anni) incolore. Che
i traumi dell’infanzia condizionano la vita adulta non è una novità, e
soprattutto non è una verità divertente. A meno che a testimoniarlo non
sia una coscienza a forma di David Gnomo. O che a rappresentare i misfatti dell’infanzia non sia un
enorme polpo attaccato alla gola del protagonista.
Protagonista dell’avventura è Zero stesso, che,
con i suoi amichetti delle elementari e poi del liceo, si trova coinvolto in
una serie di vicende che coinvolgono teschi, sparizioni, archivi porno, ambigui
giardinieri e gameboy sequestrati. Ma a dir la verità la storia è piuttosto
pretestuosa. Convincente è piuttosto il modo in cui viene raccontata: un modo
brillante, pungente e originale, che passa senza filtro dall’immaginario
dell’autore alla pagina (un solo esempio: la madre del protagonista ha le
sembianze di una gallina stile lady Cocca, stupenda e credibilissima). Insomma,
quello che potrebbe essere il solito psicodramma dell’autocommiserazione
travestita da ironia, è invece una storia acida e senza morale. Demenziale
quanto basta, qualche inflessione romanesca che non fa mai male, ed ecco fatto:
ti ritrovi in mano una vicenda divertente, e realistica, e che per una volta non ha la
pretesa di svelarti il senso della vita o di sovvertire il sistema.
È soltanto un po’ crudele, come ogni storia di
bambini che si rispetti.
Se continui così finirai col convincermi a leggere i fumetti! Io ho letto solo i primi due numeri di "the climber" e l'ho trovato piuttosto scarso. Troppi stereotipi giapponesi che mi ricordavano la mia infanzia (appunto) bruciata davanti ai cartoni giapponesi.
RispondiEliminaGuarda però che noi lettori del blog lo sappiamo che un fumetto si legge molto più rapidamente di un libro... Non pensare quindi di avere la coscienza a posto pubblicando tante relazioni su fumetti!
Oh Laura, non ti sfugge niente! Comunque tranquilla, ho ancora una recensione di un romanzo (che però non credo ti piacerebbe) da produrre :)
RispondiEliminaQuanto alle tue riserve sui manga, sappi che le condivido. E sia questo che Portugal sono tutt'altra cosa!