domenica 11 novembre 2012

Recensione #27: Branchie


Delirio nell’acquario

Quando, con gli amici del Club di Lettura, abbiamo scelto Branchie, eravamo pieni di belle speranze. Forse erano i buoni propositi di settembre, forse la scoperta che il progetto grafico era di  Riccardo Falcinelli, lo stesso di Almost Blue, che avevamo divorato prima dell’estate, non lo so. Nel mio caso, c’era sicuramente anche una discreta fiducia in Ammaniti: Io non ho paura, ai suoi tempi, mi era piaciuto parecchio…
Da allora molte cose sono cambiate: dopo l’entusiasmo e i buoni propositi, abbiamo conosciuto le fatiche di settembre, con i primi freddi abbiamo preso coscienza dei nostri limiti… E rapidamente siamo precipitati in novembre. Il libro è terminato, è tempo di bilanci. Per farla breve, ci abbiamo messo una vita a leggerlo, e questo sicuramente non ha aiutato ad apprezzare appieno l’opera. Opera che comunque ha una storia un po’ particolare: a quanto pare, (vedi prefazione) Ammaniti l’ha scritta nel 1993; invece di occuparsi della sua tesi: Rilascio di acetilcolinesterasi in neuroblastoma, ha partorito questa storia. Dopodiché, ha abbandonato l’idea della laurea, e si è dato alla scrittura. Che inizio folkloristico, no? Ovviamente, il romanzo non è stato pubblicato subito, se non da una piccolissima casa editrice. Ma l’autore gli era comunque molto affezionato, e, una volta affermatosi, ha deciso di proporlo (rivisto) ai suoi lettori, come un regalo. Tipo le foto di quando eravamo bambini, con cui un bel giorno decidiamo di ammorbare i nostri amici, in forza di un loro presunto interesse per ogni tenero aspetto del nostro passato… Direi che l’impressione leggendo Branchie è stata un po’ questa: la nostalgica condivisione dell’autore di un cimelio che forse avrebbe fatto meglio a tenersi per sé.

Marco Donati è un giovane e malmostoso malato terminale, che trascina i suoi ultimi giorni di vita tra feste discutibili e fidanzate isteriche, abitando nella penombra del suo negozio di acquari ormai chiuso. Un giorno riceve una misteriosa lettera, in cui una facoltosa signora lo invita a raggiungerla in India per costruirle il più grande acquario mai realizzato. Ovviamente lusingato dall’offerta, Marco abbandona la sua squallida esistenza e parte. Da qui in avanti, la trama precipita in un vortice di assurdità, che toccano la chirurgia estetica, il mondo animale, la povertà in India e molto altro, con vistose digressioni sulla cucina italiana. Il senso? A quanto pare, è trascurabile. La vicenda si conclude in modo totalmente surreale, senza spiegare nessuna delle stravaganze con cui il giovane Ammaniti ha dilettato il lettore per duecento pagine.

Personalmente, non ho niente contro il surreale: non penso che la letteratura debba per forza essere pienamente realistica. Però, diciamo, se è visionaria, almeno deve essere piacevole! Invece qui l’impressione è di essere trascinati in una cosa insensata e per giunta di cattivo gusto (scene di sesso estremo, pesci che divorano uomini dall’interno, gite nelle fogne...???). Non che manchino del tutto le note divertenti: alcuni episodi, e la conclusione stessa – anche se non risolve la storia – sono anche parecchio divertenti. Ma di per sé non bastano a sostenere l’opera.
In conclusione, direi che la sensazione è che quello che si è divertito di più con quest’opera sia l’autore: che ha ingannato la noia scrivendola, e buttandoci dentro a ruota libera le sue fantasie. Esercizio apprezzabile, per carità; ma forse non adatto ad essere condiviso con il grande e fiducioso pubblico. 


6 commenti:

  1. Eccomi!
    Come già detto durante il gruppo di lettura, a me il romanzo invece è piaciuto. Sicuramente ci abbiamo messo troppo tempo a leggerlo: le avventure di Marco Donati si sono dilatate fino a durare mesi, e capisco che possano aver stancato.

    Ovviamente, perchè questo romanzo sia apprezzato deve piacere il genere: che non è l'assurdo in sè e per sè, ma una costola del "pulp" di cui Ammaniti diventerà rappresentante pochi anni dopo (con i Cannibali). Tieni conto che in quel periodo sono usciti anche "La compagnia dei celestini", di Benni, e "Pulp fiction", di Tarantino. Ammaniti, probabilmente ancora immaturo artisticamente, si colloca appieno nella corrente.
    So anche che è/era un grande lettore di fantascienza: impensabile quindi che non avesse letto "Guida galattica per gli autostoppisti", che è un po' un precursore dell'umorismo "assurdo" che si trova in molti passaggi di "Branchie".

    Inquadrato in questo contesto, il romanzo acquista molto più senso, perchè è espressione del momento letterario con grandi manciate di apporti personali. Poi c'è il fatto che molti spunti non sono sviluppati del tutto: ma è un'opera giovanile, lo trovo del tutto normale.
    Anzi: sono convinta che l'opera sia stata pubblicata da un editore, per quanto minore, perchè dentro di avverte un ossatura. La trama normale dietro c'è, solo che è nascosta dal velo dell'assurdità. Quindi vedi, neanche questo aspetto è stato sviluppato fino in fondo.

    Comunque, io sono contenta che il romanzo sia stato ripubblicato! I lettori dovrebbe ricordarsi di valutare l'evoluzione di uno scrittore, e non rimanere delusi se a 25 anni non scriveva come a 40. E' una pretesa assurda, no?

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  2. Ok, ora non considerare gli errori grammaticali e ortografici del commento là sopra. I captcha di blogspot mi avevano momentaneamente reso cieca.

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  3. Qualunque cosa siano i captcha, sei perdonata!

    Comunque non sono sicura di essere d'accordo: secondo me, una cosa è valutare l'evoluzione di uno scrittore, una cosa è l'autocelebrazione. Se un giorno qualcuno facesse il Meridiano di Ammaniti, per esempio, Branchie potrebbe starci... Ma spacciarla per un'opera compiuta, quando non lo è, mi sembra un po' un imbroglio.

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  4. Forse mi sono spiegata male...è un'opera compiuta! Probabilmente con un stile immaturo, ma compiuta. La conclusione c'è: il problema, lo so, è che ti sembra insensata. Ma visto il tipo di romanzo, NON poteva esserci una spiegazione. Dato che è scritto in prima persona, dal punto di vista del malato terminale, lui non può uscire dalla propria visione (in coma? morto? allucinazioni dovute a metastasi al cervello?) per spiegare le cose dal nostro punto di vista.

    Sinceramente, io trovo molto più sensata la riproposizione di un'opera del genere, che era stata comunque pensata per la pubblicazione, rispetto all'ennesima raccolta di racconti e fogli che "mah io non li volevo pubblicare, ma poi l'editore ha detto che per contratto serviva un libro l'anno".

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  5. Il tuo commento conclusivo è del tutto condivisibile, va però messo in preventivo come Branchie sia l'opera prima di uno scrittore, ai tempi, stimolato esclusivamente dall'entusiasmo del suo debutto letterario ma in possesso di uno stile assai acerbo. Già dalla raccolta di racconti successiva le cose cambiano, pur restando invariati i suoi campi di interesse (il grottesco-pulp portato a conseguenze esagerate), fino alla piccola gemma di Ti prendo e ti porto via, a mio avviso il miglior Ammaniti in assoluto e tra i migliori romanzi contemporanei italiani degli ultimi anni.
    Bel blog, complimenti

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    1. Grazie! Ti prendo e ti porto via è sempre nella mia lista dei desideri... a questo punto romperò gli indugi :)

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