La testimonianza di un bambino grande
Confesso che covo questa recensione da più di una
settimana. Avrei voluto scrivere a caldo, ma non ero sicura delle mie
impressioni, e così ho lasciato scorrere i giorni (e poi la vita balneare degli
ultimi giorni non mi ha aiutato a vincere la pigrizia). Ora però è tempo di
affrontare questo scoglio (anche perché sto per finire un altro libro, e non
vorrei mai accumulare degli arretrati…).
Quando ci
batteva forte il cuore è un libro impegnativo e coinvolgente, ed ha
sicuramente dei grossi meriti.
Per prima cosa – come dichiara il narratore stesso
nella conclusione del romanzo – rende testimonianza di un episodio tragico e
troppo spesso dimenticato della storia italiana: quello del sofferto passaggio
dell’Istria alla Jugoslavia, con tutte le atrocità connesse (in particolare, i massacri delle
foibe).
È la storia di un popolo abbandonato dalla sua
nazione e costretto ad arrendersi alla dittatura comunista. Ma è anche la
storia di una famiglia (una mamma battagliera, un padre tenero e disilluso, e
un figlio coinvolto troppo presto nel male del mondo) travolta e spezzata dalla
storia. È il racconto di una separazione, di una fuga, di un viaggio della
speranza. Di un legame invincibile come quello tra padre e
figlio, temprato da mille prove e difficoltà. Un legame che sopravvive a tutto
e a tutto dà la forza di sopravvivere.
Insomma, senza dubbio è un libro appassionante, che si legge tutto d’un fiato, sul tram, in vacanza, nelle pause di un lavoro
casalingo.
Eppure, se devo dire la verità, non mi ha convinto del tutto.
Leggiucchiando qualche recensione online, ho
trovato diversi elogi dello stile dell'autore: semplice, schietto, quasi
giornalistico. Tutto vero. Tuttavia, se quello di non abbandonarsi alla retorica è
sicuramente un grosso pregio, devo dire che c’è qualcosa nel modo di scrivere di Zecchi che frena il mio entusiasmo. Il suo stile piano non ha catturato pienamente la mia attenzione; al contrario, troppo spesso ha permesso ai miei occhi di scivolare sulla pagina… Certo, di
fronte a episodi di questa gravità, i fatti non devono essere offuscati da uno
stile ridondante; qui però ho avuto quasi l’impressione che gli eventi non trovassero la giusta rilevanza; un po' come se venissero presentati in sordina.
Insomma, è come se l’urgenza dell’autore di portare una
testimonianza approfondita degli eventi gli impedisse di costruire un narratore pienamente credibile. Forse tutto poteva funzionare benissimo anche senza la pretesa di
usare il punto di vista di un bambino… Così, invece, la sensazione è
che il piccolo Sergio, che capisce benissimo sia i suoi sentimenti e le azioni di
mamma e papà, sia un po’ poco realistico. Ed è un peccato.
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