Marta: Lo shopping
Ho capito di avere un problema quando ho
cominciato a guardare le altre.
Mi sono resa conto di fissarle, morbosamente. Sul
tram, nei negozi, al cinema.
Sono quasi sicura che non sia attrazione: il mio
fidanzato mi piace ancora abbastanza da non farmi sorgere dubbi in questo
senso. È più una cosa che riguarda lo stile. Hanno tutte qualcosa di speciale. Qualcosa
che in me stessa non ritrovo.
Osservo i modelli, valuto gli accessori, confronto
i risultati; esamino i dettagli con precisione chirurgica. Poi li ricordo (ho sviluppato una abilità impressionante nel
memorizzare combinazioni e accostamenti). E poi li invidio.
Stamattina, per esempio.
Sono sveglia da più di un’ora, e non ho ancora
trovato la voglia di alzarmi. E non che non abbia niente da fare: oggi ho
addirittura due colloqui! Niente di serio, ovviamente; però comunque vorrei
fare una buona impressione.
La verità è che piove, e non ho niente da
mettermi. Faccio scorrere ossessivamente le possibili combinazioni di quei tre
pantaloni e quelle quattro camicette; niente. Niente a che vedere con gli
aggraziati impermeabili da mezza stagione, gli stivaletti, i jeans colorati, i
leggins, le fantasie floreali che ho in testa.
A fatica mi alzo, entro in doccia. Con l’acqua che
mi lava i pensieri, penso che proprio non so cosa mi succede: non so neanche i
nomi dei vestiti, (cosa sarà un trench, per esempio? E un 7/8?) e del resto non
ho mai desiderato conoscerli. E allora perché adesso vorrei essere la
più alla moda della città?
Bene, a furia di immaginare combinazioni
insoddisfacenti, sono riuscita anche a fare tardi. In passato, invece, ero
sempre puntuale, sempre in tempo. Trangugio un saccottino, mi ustiono col caffè,
mi lavo i denti ed esco.
Piove poco, per fortuna. I capelli resteranno decenti
almeno stamattina.
Dopo sei fermate di autobus e una corsetta in via
Senato, entro trafelata in un palazzo d’epoca. Mi fermo davanti alla porta
prima di suonare: mi ricompongo, respiro. Entro.
La segretaria avrà cinque anni meno di me, ed è
vestita che neanche mia zia. Tacco dodici, maglia color tortora, collana lunga
d’argento.
Le sorrido impacciata, cercando invano di sembrare
adulta.
Mi dà del lei con sicurezza e mi accompagna
nell’ufficio della responsabile.
«Allora, come avrà letto dall’annuncio, noi le
offriamo un contratto di formazione. Del resto per lei questa sarebbe la prima
esperienza nel settore, giusto?»
Scorre il mio curriculum con occhi esperti e dita
affusolate. Io mi sento peggio che all’orale di maturità. So bene che in fondo
questa Dottoressa Zecchi sta cercando di fregarmi. Che mi vuole far sentire una
merda, per costringermi ad accettare un lavoro non pagato e inutile e che in
fondo nemmeno mi piace. Lo so benissimo, e continuo a ripetermelo; è il mantra
scaramantico dei miei colloqui: anche tu
valuti la loro offerta. Eppure, non riesco a concentrarmi davvero su
questo. La guardo, guardo le sue unghie fresche di manicure, il rossetto in
tinta col vestito, le decolté raffinate,
e mi accorgo che sto disperatamente cercando di piacerle. Che più di ogni altra
cosa vorrei che nel mio armadio ci fosse quel cappotto bianco che ha
distrattamente abbandonato sulla sedia accanto a me.
Il secondo colloquio per fortuna era tenuto da un
uomo. Con gli uomini è tutto molto più facile: loro non sanno valutare la
sciatteria del tuo guardaroba al primo sguardo. Non sono in grado di capire che
la borsa che hai scelto era l’unica decente che avevi, l’unica che non ti
facesse sembrare una quattordicenne in vacanza.
Con un uomo si gioca su un altro terreno. Un
terreno su cui, se non altro, sento di avere le scarpe giuste per camminare.
Esco dall’ufficio di Piazza Repubblica e mi sento
sollevata: sono una che per oggi ha fatto la sua parte; una che quasi quasi si
merita anche un premio.
Senza pensarci, faccio il numero di mia madre.
«Allora com’è andata?».
La sua voce trepida mi ricorda tutta la labilità
della mia condizione. Mi ricorda che se non mi prendono neanche questa volta,
anche domani sarò una disoccupata. Oggi non è un successo, è solo il minimo sforzo indispensabile per combattere un quotidiano
fallimento.
Ingoio la mia presa di coscienza in un boccone e
cerco vagamente di sembrare positiva: «Mah, sai com’è, i colloqui vanno sempre
bene.»
Lei sorride dall’altra parte, e si mostra
desiderosa di festeggiare: «Senti, oggi pomeriggio non lavoro. Ti va se andiamo
a comprare delle scarpe? Mi pare che ne avessi bisogno…»
«Sono a pranzo con Laura, poi ho da fare. Mamma
scusa arriva il tram, vado.»
Percepisco la sua delusione e le sue domande; sto
per dispiacermi. Ma ricaccio amaramente il tutto dal suo lato della comunicazione.
Laura mi aspetta alla fermata. Come al solito è in
anticipo.
Baci frettolosi e ci infiliamo nel solito bar.
Ordiniamo un’insalata, perché vogliamo rimanere
magre, non abbiamo più mica sedici anni.
«Allora oggi avevi un colloquio?»
«Due.»
«E come sono andati?»
«Boh, sembra bene, ma non si può mai dire. Nel
secondo posto se non altro ci sarebbe un rimborso spese. Bello questo vestito!
Dove l’hai preso?»
«Oh, niente di che, l’ho preso coi saldi.»
Avrei proprio bisogno di un vestito così. Fa tanto mezza stagione in città.
"Oggi non è un successo, è solo il minimo sforzo indispensabile per combattere un quotidiano fallimento." Questa frase sarà il mio motto per combattere tutte le avversità che mi cadranno ingiustamente sulla testa a causa di questa crisi. Non mi metterò ad urlare slogan vuoti e demagogici, non mi abbandonerò alla nevrosi e alla depressione, ma ogni giorno lotterò, per quanto possibile contro un mare devastante che trascina tutto. E anche se so che la scrittrice con questa frase vuole esprimere la frustrazione della protagonista per la sua condizione di disoccupata, io gliela rubo e la faccio mia. :) Queste sono le tipiche frasi che vorresti trovare in uno scritto, quelle che sai di avere nel tuo cervello ma che non riesci mai a formulare così chiaramente... non male
RispondiEliminaE questi sono i tipici commenti che una vorrebbe trovare sotto i suoi post. Grazie :)
RispondiEliminaLa cosa bella ed inquietante allo stesso tempo di questo racconto è quanto io mi sia immedesimata e abbia simpatizzato per la protagonista; io non ho ancora il problema della disoccupazione, studio ancora, però le insoddisfazioni e le avversità nella vita ci sono sempre.
RispondiEliminagrazie per questo racconto, perché sei stata in grado di portarm il buon umore tra una materia e l'altra e di farmi venire voglia a mia volta di rimettere mano a certi racconti! :)
Grazie cara! Allora attendo con ansia di leggere i tuoi racconti :)
EliminaMi sono divertita leggendo ed ho apprezzato in modo particolare la capacità di descrivere una condizione "difficile" mantenendo un tono ironico e leggero.
RispondiEliminaSono anonima solo per motivi tecnici.......