Indagine di
e su Michela Murgia, parte II
Scrivo la mia recensione su Accabadora un giorno dopo
aver finito di leggerlo, ma non so se ho fatto bene a lasciar passare questo tempo.
L’ho divorato, e mi sembrava di aver bisogno di far decantare i pensieri, ma forse in queste poche ore mi sono già persa qualcosa.
La prima cosa da dire è che il libraio aveva ragione.
Questo libro è davvero bello. Da tanto tempo non mi capitava di essere completamente avvinta dalla macchina narrativa un romanzo.
Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, la definizione: Accabadora è senza dubbio un romanzo. E, per una volta, è un
romanzo che non sa di riciclato. Se per esempio lo confronto con l'Ombra del vento, di cui tanto mi sono
lamentata, il fenomeno è più che evidente: dove lì c’erano una serie di
ingombranti espedienti ottocenteschi (basti pensare che si tratta di un romanzo
di formazione) adattati a una trama che aspirava alla modernità, qui, i
meccanismi tradizionali sono ridotti al minimo. E benché, a ben guardare, anche in questo caso si
parli di amore, morte, mistero e crescita, ad emergere,
con evidenza fortissima, rimangono solo una storia davvero appassionante di solitudini
e compassioni, e l’atmosfera senza tempo di un mondo lontanissimo.
In effetti, Accabadora
parla di questo: dei misteri affascinanti dei villaggi rurali della
Sardegna, della realtà ostinata e superstiziosa di una terra quasi scomparsa e
quasi sconosciuta. L’autrice è originaria di questi luoghi, e li racconta apparentemente senza
filtri: utilizzando le parole, i detti, le sonorità della sua gente; restituendo al
lettore una concezione della vita che respira con la terra, e che risponde ad
una logica antichissima.
Se mi avessero raccontato la trama, probabilmente
avrei creduto si trattasse della storia di un villaggio asfittico, che si nutre di ottuse
superstizioni, deprecabili avanzi di una realtà dura a morire. Eppure, non è
questo che ho pensato leggendo.
Al contrario, l’operazione della Murgia è
straordinaria proprio perché rende credibile un sistema di
pensiero distante anni luce dal nostro.
Come ci riesce? Operando dal di dentro. Se la voce
narrante, infatti, è esterna alla storia, il punto di vista le è assolutamente
interno. In pratica, chi racconta ricalca i modi di dire e di pensare dei
protagonisti, dando vita ad uno stile semplice, che per certi versi mi ha
ricordato addirittura Verga.
Insomma, Accabadora
riesce perfettamente nell’incantesimo cui ambisce ogni romanzo: il lettore
è dentro il meccanismo, si identifica, si immedesima.
Ieri pomeriggio ho chiuso il libro, e ci ho messo
un po’ a recuperare la mia dimensione di moderna razionalità milanese. Sono
uscita a fare una passeggiata sotto la pioggia, e mi sono accorta che mi è
successa una cosa ridicola, che però mi capita solo con i buoni libri: i miei
pensieri si muovevano al ritmo cantilenante dei periodi di Accabadora.
sono completamente d'accordo! un libro che ho amato molto e che è davvero in grado di raccontare un mondo delicato e misterioso.
RispondiEliminaInsomma Fuffi, mi pare che ultimamente in fatto di libri andiamo proprio d'accordo :)
RispondiEliminaBe', in ogni caso, il tuo parere di sarda è sempre apprezzatissimo!
sono la tua prima groupie :)
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