Giovani librai
crescono
Quando ho cominciato il mio stage da un libraio
antiquario, metà dei miei conoscenti mi ha consigliato di leggere L’ombra del vento.
Come spesso accade, però, il proposito di conoscere questo fantomatico best seller è rimasto sepolto sotto il peso dei libri accumulati sulla mia
scrivania, fino al giorno – poco più di una settimana fa – in cui la mamma di
Fede me l'ha messo in mano.
A dir la verità, l’ho letto piuttosto in fretta. Per cominciare, quindi, devo dire che un libro di
400 e passa pagine che si legge in una settimana ha sicuramente qualcosa di
buono. La disoccupazione e la velocità di lettura non c’entrano: L’ombra del vento è un libro che si
divora, soprattutto nella prima parte.
I personaggi fanno decisamente simpatia (soprattutto il caro Firmìn), e la curiosità di capire come si scioglieranno i nodi della trama cresce di pagina in pagina.
I personaggi fanno decisamente simpatia (soprattutto il caro Firmìn), e la curiosità di capire come si scioglieranno i nodi della trama cresce di pagina in pagina.
Tuttavia, se la scorrevolezza e la godibilità sono
senza dubbio qualità apprezzabili, non penso siano sufficienti a fare di
quest’opera il capolavoro che molti dicono.
Nella quarta di copertina della mia edizione leggo
frasi come: “L’ombra del vento è un
moderno feuilleton”; “l’esordio di un autore che fa rivivere la grande tradizione
del romanzo ottocentesco…”. Direi che il problema è esattamente questo:
l’ambientazione novecentesca, i riferimenti alla guerra e un paio di scene di
sesso vagamente esplicite mistificano un po’ le cose, ma la verità è che L’ombra del vento non è niente di più
di un romanzo di formazione ottocentesco. Ma non ce ne sono già abbastanza, a
riempire i negozi gli scaffali e le antologie del liceo?
Allora io mi chiedo: che cosa spinge uno scrittore
contemporaneo a mettere in piedi un’opera che forse sarebbe non stata innovativa neanche
centocinqant’anni fa? Naturalmente, la risposta positiva del pubblico.
Le persone, leggendo queste pagine, si appassionano. In effetti, gli
ingredienti del successo ci sono tutti: c’è un giovane insicuro alle
prese con un mistero intricatissimo (ma troppo spesso ho avuto l’impressione
che la complicazione della trama fosse dovuta alla debolezza della narrazione,
più che alla bontà delle idee), una storia d’amore strappalacrime (poco importa
se è del tutto inverosimile), una guerra tragica, un supercattivo a cui addossare tutte
le colpe senza domande; c'è perfino il tema della paternità, vera presunta e putativa… Insomma, un vero e proprio minestrone di buoni sentimenti, conditi con qualche prevedibile colpo di scena. Che poi con queste stesse componenti si possano
produrre anche Indiana Jones e sceneggiati di bassa lega, a quanto pare, è del
tutto irrilevante.
P.S. Per concludere, vorrei ringraziare Fede, che ha trovato l'immagine malvagia in questo blog... Sei il mio webmaster preferito :)