lunedì 24 giugno 2013

Recensione #42: Missa sine nomine

Espiazione alla tedesca

Al mio desiderio di ormai più di un mese fa di leggere “un bel romanzone novecentesco” Fabio ha risposto prestandomi Missa sine nomine. “A diciott’anni l’ho adorato. – mi ha detto – Ma forse è uno di quei libri che si apprezzano solo da ragazzi. Mi dirai che ne pensi.”
Gravata e incuriosita da questo nuovo compito, ho disdetto i miei impegni e cominciato a leggere di buona lena. Poi le cose si sono fatte complicate: sono arrivate settimane dure al lavoro, la tanto attesa bella stagione ha diradato i miei viaggi in metropolitana… insomma, ho rallentato il ritmo, e spesso confinato la lettura ai dieci minuti prima di dormire, con gli occhi stanchi e i pensieri labili. Tutti questi fattori forse falsano un po’ il mio giudizio, ma voglio provare lo stesso a tirare le fila del discorso, e a stabilire se Missa sine nomine pecca di quel simbolismo romantico tedesco, che ho tanto amato in adolescenza, ma che ormai trovo un po’ stucchevole.

La trama è presto detta: in una Germania rurale post nazista, tre fratelli di nobili natali cercano di ricostruire le loro vite e i loro animi, piegati dai dolori della guerra. Il più vecchio, Erasmus, ha disertato, voltando le spalle al nemico. Al mediano Aegidius sono stati sottratte le terre e, con esse, la certezza di una vita di cose semplici e concrete. Infine, il più giovane e più filosofo, Amadeus (una specie di alter ego dell'autore), ha sopportato la prigionia nel lager, dove ha patito il tradimento e l’umiliazione, fino al punto di mettere in dubbio la propria stessa umanità.
Ebbene, a guerra finita, i tre si ritrovano e, faticosamente, provano a rimettersi in piedi e a riportare la serenità nelle loro terre.

Il bello di questo libro – almeno per me – è che parla di redenzione a caro prezzo. Chi mi conosce sa quanto mal sopporti la redenzione a buon mercato, quella robaccia da film americani in cui basta dire “mi dispiace” per sistemare gli sbagli e i dolori di una vita. Quello su cui ci ingannano è che poi, dopo aver detto “mi dispiace”, uno deve combattere contro i suoi demoni, e vincerli. Missa sine nomine, da questo punto di vista, non concede sconti a nessuno: l’espiazione è presentata come un percorso serio, lungo e doloroso. Ma alla fine permette di guadagnarsi una pace solida e duratura.

Eppure, nonostante la forza e l’urgenza dei temi trattati (il romanzo è in larga parte autobiografico), l’atmosfera di Missa sine nomine rimane rarefatta, distante. Si muove sul piano dei simboli, piuttosto che su quello delle passioni. La trama procede per aneddoti, parabole, metafore e ricordi. Una ben calcolata distanza di sicurezza separa il lettore dai drammi dei personaggi. Da lontano, egli può valutarli e coglierne i significati più profondi. Da lontano può teorizzare sul peso e la fatica e al limite sul fascino dell’espiazione.
Ma da lontano – ahimè – non può commuoversi, e forse nemmeno ricordare. 

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