Un
bell’incontro con Gobetti
Quando ho visto per la prima volta la copertina di Mandami tanta vita, ho pensato che non
faceva per me. Il titolo pretenzioso, i troppi romanzi all’attivo (quasi uno
all’anno) di questo autore giovane (classe 1983), mi hanno spinto a
immaginarmi una specie di epigono di Moccia, da cui tenermi ovviamente ben alla
larga. Una volta finito di leggerlo, però, il papà di Fede me l’ha prestato
dicendomi: “questo secondo me ti piace. Parla di un giovane editore.”
Il giovane editore, ho scoperto sfogliandolo, è
Piero Gobetti. È bastato questo nome, ritrovato sempre con entusiasmo e stupore
sui libri universitari, a convincermi a piantare in asso per l’ennesima volta Guerra e pace (ebbene sì, lo confesso,
non sono mai riuscita a superare pagina 200…) e a farmi accompagnare da Paolo
di Paolo nei miei mattutini viaggi metropolitani.

Quello che Moraldo non sa è che il suo idolo ha
ben altro a cui pensare: la situazione in Italia non favorisce l’espressione
delle sue idee, e così Piero, già debole e malato, si vede costretto a partire
alla volta di Parigi, lasciando a Torino la moglie Ada e il figlioletto appena
nato.
Le vite dei
due giovani procedono in parallelo, a capitoli alternati, geograficamente
vicine ma spiritualmente lontanissime, come solo nei film sull’incomunicabilità
o in alcune tristi coincidenze della vita.
Ma più che la scontata costruzione del romanzo, con
il suo stile moderno e a tratti poetico, o la figura di Moraldo, che
francamente ho trovato un po’ malmostosa, a meritare attenzione è il modo in
cui viene tratteggiato Gobetti.
Sono la sua personalità (il suo “impeto”, direbbe
Pasolini) e le sue speranze a tenere in piedi il romanzo.

Ne risulta una figura di grandissimo fascino,
tormentata e ambiziosa, dura ma anche appassionata. Davvero indovinato e
poetico, anche nella forma, il racconto della relazione con Ada, moglie, madre
e compagna di vita.
Insomma, Mandami
tanta vita è un bel romanzo di finzione su Gobetti. Gobetti è – una volta
di più – un personaggio incredibile, e questa storia, secondo me, gli rende
giustizia.
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