mercoledì 12 giugno 2013

Recensione #41: Mandami tanta vita

Un bell’incontro con Gobetti

Quando ho visto per la prima volta la copertina di Mandami tanta vita, ho pensato che non faceva per me. Il titolo pretenzioso, i troppi romanzi all’attivo (quasi uno all’anno) di questo autore giovane (classe 1983), mi hanno spinto a immaginarmi una specie di epigono di Moccia, da cui tenermi ovviamente ben alla larga. Una volta finito di leggerlo, però, il papà di Fede me l’ha prestato dicendomi: “questo secondo me ti piace. Parla di un giovane editore.”
Il giovane editore, ho scoperto sfogliandolo, è Piero Gobetti. È bastato questo nome, ritrovato sempre con entusiasmo e stupore sui libri universitari, a convincermi a piantare in asso per l’ennesima volta Guerra e pace (ebbene sì, lo confesso, non sono mai riuscita a superare pagina 200…) e a farmi accompagnare da Paolo di Paolo nei miei mattutini viaggi metropolitani.

In una scostante Torino  anni venti, un giovane editore e un aspirante letterato vivono e lottano contro i loro demoni. Per il primo, il regime, la mediocrità, la malattia. Per Moraldo, invece, la sfiducia nelle proprie capacità, l’incertezza su quale forma dare al proprio destino. All’inizio della narrazione i due si incontrano in un’aula universitaria: Piero compie un’azione di disturbo della lezione per svegliare le coscienze degli studenti, e Moraldo, che di quegli studenti fa parte, rimane immediatamente infastidito dalla supponenza del suo coetaneo. Poi però, in quella spericolata presunzione, intravede la possibilità di un futuro per sé. Immagina di potersi affidare alla personalità imponente del giovane editore per poter uscire dalla propria indeterminatezza. Comincia così a cercare Piero, a scrivergli lettere, ad appostarsi nel negozio di sua madre.
Quello che Moraldo non sa è che il suo idolo ha ben altro a cui pensare: la situazione in Italia non favorisce l’espressione delle sue idee, e così Piero, già debole e malato, si vede costretto a partire alla volta di Parigi, lasciando a Torino la moglie Ada e il figlioletto appena nato.
Le vite dei due giovani procedono in parallelo, a capitoli alternati, geograficamente vicine ma spiritualmente lontanissime, come solo nei film sull’incomunicabilità o in alcune tristi coincidenze della vita.
Ma più che la scontata costruzione del romanzo, con il suo stile moderno e a tratti poetico, o la figura di Moraldo, che francamente ho trovato un po’ malmostosa, a meritare attenzione è il modo in cui viene tratteggiato Gobetti.
Sono la sua personalità (il suo “impeto”, direbbe Pasolini) e le sue speranze a tenere in piedi il romanzo.

Lo stesso autore lo afferma, nella nota conclusiva dell’opera: [nel 2008] Stavo per compiere gli anni che Piero Gobetti (1901-1926) non ha compiuto. Non sapevo molto di lui, ma quel poco mi ha spinto a immaginare. Il romanzo è un’opera di finzione, ma una finzione ben documentata, e si sente. A ispirare Paolo di Paolo, in particolare, l’epistolario di Piero e Ada: Nella tua breve esistenza. Lettere, 1918-1926, che, se il sistema bibliotecario nazionale lo consente, mi procurerò il prima possibile.
Ne risulta una figura di grandissimo fascino, tormentata e ambiziosa, dura ma anche appassionata. Davvero indovinato e poetico, anche nella forma, il racconto della relazione con Ada, moglie, madre e compagna di vita.


Insomma, Mandami tanta vita è un bel romanzo di finzione su Gobetti. Gobetti è – una volta di più – un personaggio incredibile, e questa storia, secondo me, gli rende giustizia. 

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