sabato 25 luglio 2015

Recensione #64: Fossi in te io insisterei

Tentativo di lettera al padre

Per prima cosa bisogna dire che da sola non avrei mai comprato questo libro. Non lo dico per giustificarmi, anzi: sono contenta di essermi imbattuta in qualcosa che secondo i miei gusti non avrei mai scelto. Ma tant’è. Me l’ha messo in mano mia madre, che a sua volta l’ha acquistato al mare credo in mancanza di idee migliori. E poi l’ha letto mio fratello, che da almeno tre anni non riesce a superare la pagina 20 di qualsiasi libro non sia un manuale di giurisprudenza, ma ha finito questo in due giorni.

Entrambi mi hanno detto: “non è un capolavoro, ma si legge volentieri. Fammi sapere che ne pensi”. 
E così, come sempre incuriosita, me lo sono fatto prestare e l’ho letto, e ora posso dire la mia. Condivido senz’altro sul fatto che non è un capolavoro. Che questo Carlo G. Gabardini (che poi sarebbe Olmo di Cameracafé, che sorpresa) avrebbe potuto metterci qualcosa in meno di 237 pagine per prendere coscienza della morte di suo padre. E che, ciò nonostante, Fossi in te io insisterei non è una lettura spiacevole. 
Ma cerchiamo di andare con ordine. 
Il libro è pensato come una lunga lettera che l’autore scrive al padre morto ormai da quindici anni, nel tentativo di fare ordine nella sua vita e di mettere una sana distanza tra sé e il fantasma del genitore, che – si intuisce – continua a influenzare le scelte e soprattutto le non-scelte dei suoi giorni. Fin da subito, infatti, Gabardini si descrive come un personaggio incapace di prendere anche la più piccola decisionie. A paralizzarlo è la paura di sbagliare; o forse quella di deludere la proiezione di suo padre che parla nella sua testa; o forse ancora – come dice mio fratello – l’indecisione cronica di questa generazione senza guide e senza valori, che spinge le persone a volersi sempre lasciare tutte le porte aperte… o forse tutti questi fattori e molti altri ancora. Fatto sta che, giunto ai quarant’anni, il nostro Olmo si ritrova a voler dare una svolta alla sua vita; e per farlo intuisce di dover fare i conti con un padre che, oltre all’affetto e alla tenerezza e alla determinazione, gli ha trasmesso la paralizzante idea che “o perfetti o niente”. Che ben presto si rivela un fardello piuttosto pesante da portare. 
Nel tentativo di fare ordine, l’autore ci racconta sommariamente la vita sua e della sua famiglia fino alla scomparsa del padre. Una famiglia numerosa, cresciuta in armonia e serenità, piena di aneddoti che fanno simpatia… (ma questo forse perché tra avvocati, senso del dovere e ritorni sul Lago Maggiore tra le pagine ho respirato una certa aria di casa). 
Dopo la morte del capofamiglia, però, le cose si inceppano, sia nella vita del povero Carlo G., sia – ahimé – nella narrazione, che si fa più frammentaria e disordinata. 
Nella seconda dell’opera, Gabardini vorrebbe probabilmente elencare le tappe salienti della sua storia; di fatto invece infila una serie di aneddoti più o meno autocelebrativi (a che scopo per esempio riportare tutto il canovaccio del suo filmato contro l’omofobia? Sorge il dubbio che qualcuno volesse farsi bello agli occhi del papà… e forse anche dei lettori), tra cui spiccano quelli legati all’attivismo per i diritti dei gay. Che però non credo c’entrino granché col padre, e che l’autore troppo spesso affronta con l’aria di volersi vestire da scemo, e di fatto in modo piuttosto superficiale... Il risultato è che a un certo punto si perde un po’ il filo: di cosa stiamo parlando? Di una famiglia felice, di un padre ingombrante e non perdonato e in fondo neanche mai apertamente accusato, di diritti degli omosessuali, o di cos’altro? Probabilmente solo di uno che non sa bene cosa sta facendo e perché, e piuttosto onestamente cerca di fare chiarezza nel suo animo. 
Il tentativo è senz'altro ammirevole. L'unico dubbio – al di là della simpatia che suscita il personaggio quando non scade nella macchietta – è se di tutto questo groviglio avesse senso fare un libro.

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