lunedì 13 luglio 2015

Recensione #63: Urbino, Nebraska

L’incantesimo della Città Ideale

Finalmente un libro da consigliare per l’estate. Non proprio una novità editoriale (è del 2013), ma poco male. Urbino, Nebraska è un’opera appassionante e non facile, sulla provincia e la provincialità italiane, sui drammi, le piccolezze, le frustrazioni e i dubbi degli abitanti di una realtà destinata a rimanere ai margini.
Vera protagonista della narrazione è Urbino, nel titolo significativamente accostata al Nebraska, paese con cui condivide la condizione di provincia defilata e deprimente, e da cui, che si fugga o si rimanga, sempre in qualche modo si rimane condizionati.
È quanto accade a Zena, Nicola, Mattia e Federico, protagonisti dei quattro racconti che compongono l’opera, sottilmente invischiati nella trama di ricordi, riferimenti, avvenimenti e relazioni che costituiscono il cuore pulsante e paralizzato della città. Una trama sottile, di cui quasi perdiamo le tracce tra le pagine, ma anche forte e mortifera come la tela di un ragno. Emblematica da questo punto di vista la morte di Ester e Bianca, due sorelle stroncate da un’overdose alla Fortezza Albornoz, la cui scomparsa continua a riproporsi e a condizionare i personaggi dei racconti: Zena, studentessa piena di paranoie, vorrebbe portare conforto alla loro madre, ormai anziana e afflitta da demenza, che sarebbe poi la zia di Nicola, aspirante monaco con un passato da promessa della musica. E ancora: le due ragazze ossessionano anche Jacopo Martelli, scrittore fallito, e di riflesso il suo amico Mattia, che da Urbino è fuggito tanti anni fa, ma che a Urbino sempre ritorna, col pensiero e nei fatti, schiacciato da legami che non sa far diventare adulti. Infine, anche il piccolo Federico, protagonista dell’ultimo racconto, a cui è affidata l’unica breve nota di speranza del libro, viene toccato dal dramma di Ester e Bianca, che pure si è consumato tanti anni prima. A trovare i corpi delle due ragazze è stato infatti suo nonno, e ora i loro spiriti tornano a far visita al bambino sotto forma di uccellini.

Soprattutto quelle dei primi tre racconti sono storie di quotidiana angoscia, che si gonfia e rimbalza tra le mura e le squallide periferie della Città Ideale, senza trovare sollievo o scioglimento. Storie di personaggi che, in modi e momenti diversi, cercano disperatamente la propria strada e si scontrano con le proprie insanabili debolezze. Perché di Urbino e dei suoi fantasmi, sembra dirci l’autore, non ci si libera.
La morte di Ester e Bianca è forse l’unico fatto (per il resto sono tutti tentativi, pensieri, aspirazioni e dubbi) dell’opera, e non a caso è relegato in un passato quasi remoto. Ma ciò nonostante, Zena, Mattia, Nicola e tutti gli altri, incapaci di decisioni e di vita propria, gravitano intorno al loro dramma con pruriginosa insistenza. In questo senso, quindi, Urbino si manifesta come la vera e propria “costola mancante” dei suoi abitanti (a questo proposito, si legga l’interessante intervista all’autore su La Balena Bianca).
Alessio Torino sa raccontare le vibrazioni minime e i più piccoli movimenti dell’animo umano, il susseguirsi dei giorni sempre uguali e sempre più inutili con una precisione e una forza rare, con frasi brevi, solo apparentemente semplici, che lasciano al lettore – finalmente – la fatica e lo spazio di insinuarsi tra le pieghe dei pensieri dei protagonisti.

Gli amanti dell’azione e del lieto fine, ma soprattutto dei finali precisi, le storie che si chiudono senza sbavature all’ultima pagina, stiano lontani da Urbino, Nebraska. Tutti gli altri, invece, se lo procurino quanto prima. 

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