giovedì 27 settembre 2012

Recensione #22: Il giuoco delle perle di vetro


Un classico elegiaco

Anche l’ultima recensione di quest’estate (lo so, siamo in autunno, gli eventi mi hanno travolto, sono in ritardo…) è dedicata a un libro decisamente impegnativo. Non è facile riordinare le idee; so che corro il rischio di scrivere ridicole banalità. E su un classico come Il giuoco delle perle di vetro proprio non mi sembra il caso. Ma ci provo lo stesso.

L’opera appare complessa fin dalla sua struttura: inizialmente, si incontra una introduzione alla storia del gioco delle perle di vetro. Segue la biografia di un maestro di questo gioco, tale Joseph Knecht (che significa “servo”, nome più che parlante). Infine, come in appendice, sono posti gli scritti di Knecht stesso.
Sfoglio il libro e per un attimo credo di potermela cavare con poco, leggendo solo la parte centrale. Ma poi mi dico che di questo strano gioco in fondo non so niente, e che forse è il caso di comportarsi da lettrice diligente, e di procedere con ordine.

Il giuoco delle perle di vetro è il romanzo della vecchiaia di Hesse, frutto di una faticosa gestazione portata avanti negli anni della seconda guerra mondiale. Egli stesso, infatti, affermò in seguito che scrivere quest’opera era stato come “procurarsi una boccata d’aria respirabile in mezzo al gas velenoso”.
Ma proprio a causa della forte critica al nazismo, che ovviamente non poteva essere esplicitata nel 1943 (anno della prima uscita del Giuoco), l’autore ambienta il romanzo in un tempo e in uno spazio completamente indefiniti (alcuni hanno ipotizzato una Svizzera del 2200, ma personalmente trovo queste speculazioni del tutto inutili).
In questo futuro senza coordinate, la mediocrità della cultura dell’età moderna (definita impietosamente “era della terza pagina”) è stata  finalmente sconfitta. Essa è ormai totalmente affidata alla Castalia, un esiguo gruppo di eletti, che coltiva il piacere delle arti e del sapere fine a se stessi. Il mondo rispetta (e mantiene) questi studiosi, perché riconosce la loro importanza, o forse solo perché li considera un piacevole lusso.
La somma manifestazione di questa cultura è il gioco delle perle di vetro, una specie di esercizio di corrispondenze tra le arti, una sorta di supercruciverba ad altissimo livello. Chi lo pratica accede ai più segreti richiami che governano l’universo e ne trae un meraviglioso godimento…
Ma poi? Qual è il senso di questo comprensione, se la si impiega solo nel claustrofobico mondo della Castalia?
È quello che si chiede anche Joseph Knecht. Per tutta la durata del suo stupefacente percorso, il protagonista del romanzo è tormentato da questa ricerca di senso. Al centro dell’opera sta dunque il tema della vocazione, della necessità di stare nel posto e nel ruolo a cui si è chiamati…
Per quel che mi ricordo, questo elemento era fondante anche in Narciso e Boccadoro. Tuttavia, qui, lo spirito di avventura e la simpatia di Boccadoro hanno ceduto il passo alla perfezione senza macchia di Joseph Knecht, un personaggio talmente ineccepibile da aver ragione anche quando si pone al di sopra di ogni legge.

Mio padre dice che lui, leggendo, sentiva moltissimo la sofferenza e il tormento di questo personaggio, sempre capace di obbedire alla propria “chiamata”. Non posso affermare lo stesso. La preziosa introduzione di Hans Mayer, che apre la mia edizione Meridiani (tanto per vantarmi) mi ha effettivamente aiutato a riconoscere che la figura di Knecht è molto più sfaccettata di quello che sembra, tesa da un lato all’amore per la cultura fine a se stessa, e dall’altro animata dalla ricerca di un posto nel mondo, tra gli uomini… E ovviamente questi temi sono per me più che mai sentiti. Eppure, nonostante questo, ho fatto fatica ad appassionarmi. Nell’introduzione si parla di “tono elegiaco”; condivido pienamente. Insomma, banalizzando, concluderei che è stata un'esperienza interessante, ma non esattamente coinvolgente. Un ottimo romanzo per la mia testa.

1 commento:

  1. Ciao, anche io nonostante le recensioni lo indicano come l'opera principale di HH, personalmente l'ho trovato scialbo.

    Il personaggio, come dici anche tu, senza macchia che vince sempre e intelligente, ha carisma, e sempre immerso nel flusso della vita e l'universo risponde ad ogni sua richiesta. Anche quando muore come un cretino, l'autore ne fa un eroe.

    Dove è andato a finire l'HH di Siddharta, Narciso e Boccadoro,Demian,e il Lupo della Steppa? Personaggi che cercano l'universo e che si squarciono l'anima, dannati e benedetti.

    Credo che quest'opera non sia degna dello spirito dimostrato anni prima e chiunque sostenga che questo è l'opera prima di HH, dell'autore non ha capito niente.

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