Vietato ai
minori
A proposito di libri consigliati da mia cugina,
devo assolutamente menzionare La nausea. Anche
se, a dir la verità, non è stata lei a convincermi ad affrontarla. Al
contrario, l’effetto che ai tempi aveva prodotto su di lei mi aveva messo
parecchio in guardia nei confronti di questo libro. Me la ricordo benissimo: 18 anni e una crisi
esistenziale in corso. I diari di Antonio Roquentin non potevano non peggiorare
la situazione.
Dopo anni di viaggi e avventure, il protagonista del
romanzo si è ritirato a Bouville (città immaginaria in cui molti hanno
riconosciuto Le Havre, dove Sartre abitava al tempo della scrittura), dove
scrive la biografia di tale Signor Rollebon. Consuma giorni uguali, tra
biblioteca e caffè, lasciando svanire lentamente i ricordi delle proprie
avventure.
In pochi giorni, però, la gretta quotidianità di
quest’uomo solo viene sconvolta dall’esperienza della Nausea.
La Nausea. L’espressione fisica di un disagio
covato troppo a lungo. La consapevolezza, che esplode nelle pieghe di una
dimensione ferocemente piccolo borghese, dell’esistenza,
inutile, di tutti gli uomini e di tutte le cose.
Da questo stato, evidentemente, ogni contatto
umano diventa impossibile. Gli unici due personaggi che si stagliano sullo sfondo
delle mediocri comparse del romanzo, in effetti, sono irrimediabilmente
irraggiungibili per il protagonista. Tra l’altro, trovo queste scene di
“confronto”, tra Antonio e l’Autodidatta, e tra Antonio ed Anny,
particolarmente riuscite.
In un crescendo terribile di angoscia, il
protagonista dapprima riconosce un vago malessere, e poi, progressivamente,
realizza e razionalizza la condizione misera di tutti gli esistenti: «Ogni
esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per
combinazione».
Solo nella conclusione, si prospetta una remota
possibilità di salvezza attraverso l’arte. Ma, sinceramente, mi è sembrato solo
un pallido tentativo consolatorio, dopo duecento pagine di devastazione.
Diciamo che capisco come questo libro possa
gettare nello sconforto un adolescente. E, in effetti, non posso definire
questa lettura piacevole, neanche dall’alto dei miei 24 anni.
Certamente, però, posso definirla interessante. A
tratti – devo dire non sempre, sono più una da scene drammatiche che da speculazioni
filosofiche – anche molto coinvolgente.
Illuminanti soprattutto le pagine relative alla
differenza tra vivere e raccontare la vita. Per una che ha abitualmente a che
fare con i libri, a volte è bene marcare la differenza:
Affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura, è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo...