Sensazioni di Acciaio
Ci sono libri che si lasciano leggere. No, di più,
riproviamo. Ci sono libri che sono fatti per essere divorati. Le parole,
trangugiate troppo in fretta, si incastrano tra le tue. Il ritmo ti si insinua
nelle frasi, ti fa sentire coinvolta, catturata. Quando li finisci, ti fanno
venire voglia di parlarne, di confrontarti, di scriverne. Per riordinare i
pensieri, per capire se hai capito. Se sotto la superficie incrinata delle
emozioni hanno qualcosa di profondo da dire. Ci sono libri che creano
sensazioni precise, che alcuni scambiano per valore letterario e altri per
illusioni da due soldi. Acciaio è uno
di questi.
Ho ceduto alla tentazione di Silvia Avallone con
qualche anno di ritardo, dopo averla sbirciata con curiosità dalle recensioni
entusiaste sui settimanali, e dalle sue colonne – peraltro molto ben scritte –
sul Corriere della Sera. Dopo tanto
successo e tanto clamore, oggi che la Lucchini è su tutti i giornali, e le
pagine del suo fortunato esordio guadagnano attualità e potenza insperate, mi
sembra di avere una giustificazione adeguata per affrontarla direttamente.
Acciaio
è la storia di Anna e Francesca, due adolescenti bellissime costrette a
crescere nel mondo maschilista e crudele delle case popolari di Piombino, con l’altoforno
Afo4, di cui in questi giorni tanto si parla, a scandire le giornate e
inquinare i polmoni, e l’isola d’Elba come miraggio inarrivabile sullo
sfondo. È la storia di come il loro piccolo universo si incrini all’impatto con
la vita adulta, con un mondo spietato in cui puoi farti largo solo se sgomiti e
calpesti i tuoi simili… o forse no. Forse non sono tutti davvero così cattivi?
Forse una piccola speranza è possibile? L’autrice, che fino all’ultimo capitolo
vuol fare la dura, accenendosi a tratti morbosamente contro lo squallore, le
bassezze e la grettezza di questa periferia trascurata e invisibile, all’ultimo
sembra avere un ripensamento: come se si ricordasse di star parlando di due
adolescenti, prova a congedarle con un timido lieto fine, che però al lettore –
o forse solo a me – suona come un contentino.
La stessa incertezza si riscontra anche a livello
di stile: se sei nella testa di un quindicenne eccitato, che guarda la ragazza
che gli piace un attimo prima di baciarla, davvero puoi dire “si era truccata un poco, oggi”? o “la gonna le si era un poco alzata”? Non so, a me sa di
finto, di poco convinto. E mi viene da chiedermi se non sarebbe invece stato
meglio aprire un po’ al dialetto… non credo che questi giovani parlino un
italiano con tutte le consonanti e i congiuntivi al loro posto. Ma forse queste
sono scelte editoriali, non divaghiamo.
Quello che conta è che in questo libro si sente
una storia forte, una storia viva, se
vogliamo usare un aggettivo caro alla Avallone, che non è la vicenda delle due
amichette del cuore che litigano e poi magari fanno pace, ma quella drammatica
dell’Italia sul baratro, alla vigilia del tracollo economico-culturale. Non mi sembra
che all’autrice manchi il coraggio di raccontarla, ma forse la determinazione
di andare fino in fondo, senza indugiare in banali quadretti da telefilm. Qualcuno
potrebbe rispondere che è un problema di età, che a venticinque anni non si può
essere già così cinici… ma a me le questioni anagrafiche sembrano sempre scuse.
Se leggerò Marina
Bellezza? Non lo so, Amazon me ne ha proposto un capitolo attaccandolo
direttamente all’e-book di Acciaio. Devo
dire che l’inizio non mi ha entusiasmato, ma non si sa mai. Magari tra un po’
diventa attuale anche quello e allora chi può dirlo.
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