Un romanzo che "tocca il cuore"
Ho pensato molto al destino della
Nefelomanzia, ultimamente. Non è passato giorno senza che il senso di colpa mi ricordasse che non stavo scrivendo da mesi e che i
libri non recensiti si stavano accumulando, e che cominciavo a
dimenticarne i dettagli... sono arrivata a pensare che non ci fosse
più posto per la scrittura nella mia nuova vita adulta da
lavoratrice a tempo pieno (perché nel frattempo il famigerato
“lavoro vero” l'ho trovato), con una casa a cui badare e un
marito (è ancora così strano scriverlo) a cui vorrei dedicare
sempre più energie di quelle di cui dispongo.
Insomma, mi
ero quasi convinta a lasciar perdere, anche se questo significava
venir meno alla lista dei miei buoni propositi dell'anno scorso, che
prevedevano anche il mantenimento della mia vena letteraria, oltre al
matrimonio al lavoro e agli amici; ma del resto una deve anche saper
riconoscere il proprio limite. E fermarsi, quando la giornata è
finita; forse.
Poi ho letto un libro che mi ha
"toccato il cuore" (per usare un'espressione del protagonista). E, improvvisamente, con un'urgenza che avevo quasi
dimenticato, ho cominciato a scrivere.
E non disse nemmeno una parola
è un romanzo bellissimo e
straziante del premio Nobel Heinrich Boll. L'ho acquistato con un
click su Amazon qualche giorno fa, nel corso della mia consueta
caccia al romanzo novecentesco a buon mercato. Il nome dell'autore
(lo stesso delle amatissime e forse altrettanto toccanti Opinioni
di un clown) e il prezzo di
copertina mi hanno convinto a procedere e ad avventurarmi nella
lettura nei miei soliti trasbordi casa-lavoro, lavoro-pranzo,
pranzo-lavoro, lavoro-casa. Il risultato è che il mio umore è
precipitato e che da una settimana non mi sogno neanche di prendere
la bici, perché in ogni momento libero voglio leggere. Leggere la
storia tremenda di Franz e Kate, sposi consumati dalla povertà e
dallo squallore della Germania del dopoguerra. Sposi che non riescono
a convivere senza picchiare i loro figli e senza ubriacarsi per la
rabbia, che poi fanno i debiti per incontrarsi in luride stanze
d'albergo in cui parlare in pace.
E non disse nemmeno una parola
è il racconto di due giorni della loro vita infelice, condotta tra
dolore, meschinità e miseria. Boll dimostra ancora una volta una
durezza e una lucidità nel raccontare dolore e bassezze umane che
non possono lasciare indifferenti. Come ci riesce? Forse perché
neanche lui, come i suoi personaggi, può rassegnarsi definitivamente
al male. Così il romanzo diventa anche racconto della potenza di un
sentimento che non si consuma, di una relazione che non si spezza, e
che sa riportarsi a qualcosa di più alto. Una storia di fede e di
preghiera, a dispetto della corruzione e della mondanità della
chiesa e della debolezza stessa dell'uomo. Un'opera faticosa,
insomma, che non risparmia nessuna angoscia al lettore. Ma che,
proprio per la sua onestà, alla fine regala la speranza autentica di
un futuro (non per niente, l'opera si conclude con la parola “casa”,
intesa finalmente come luogo di accoglienza e non più di dolore).
Ehi, non ci provare eh?!? Piuttosto trascura di più tuo marito...
RispondiEliminasì, in fondo ci si sposa per trascurasi al vicenda, no? è un po' anche la morale allegra di questo libro :)
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