mercoledì 3 ottobre 2012

Recensione #23: Non rimanere soli


Il bottino di un venerdì sera

Il primo a credere nelle storie che racconto sono io. Il lettore scettico leggendo una mia novella può pensare che sono tutte fantasie.
Per me che scrivo quella novella è «vera» come le storie e le persone vere che mi vivono intorno.

La mia fama di letterata comincia a dare i suoi frutti: venerdì sera, nel bel mezzo della sua festa a sorpresa, Michi ha trovato il tempo, in nome della mia grande cultura, di rovesciare sul tavolo della cucina un intero scatolone di libri doppi che custodiva in casa e di dirmi che potevo prendere quello che volevo. Me ne sono portati via quattro, solo per non far infuriare mia madre, che tra un po’ dalla mia camera, pur di fare posto ai libri, esco io.

Tra questi quattro, c’era anche Non rimanere soli, di Scerbanenco. L’ho cominciato già sabato mattina, incuriosita dall'entusiasmo di Michi e da vaghe reminiscenze universitarie.
Devo dire che sono rimasta stupita. Mi aspettavo una specie di giallo anni quaranta, e invece sono incappata in una storia d’amore e guerra e soprattutto di solitudine. O forse di come l’amore possa sconfiggere la solitudine e la guerra possa sconfiggere l’amore.
Federico, Giovanni e Mutti sono tre anime sole, che si incontrano, per un breve tempo sono felici, e al momento della storia sono drammaticamente separate dalla guerra. L’opera è divisa in tre sezioni, che raccontano, rispettivamente, una notte dei tre protagonisti.
La narrazione ovviamente non è così lineare: nelle prime due parti, è costruita sull’usurato meccanismo del flashback, mentre nella terza è concentrata sul presente, e apre, nella conclusione, un pallido spiraglio sul futuro.
La morale è presto detta, ma per coglierla bastava leggere il titolo. Sembra di vedere Into the wild: “la felicità è reale solo se condivisa”.
Cosa rimane di buono? L’andamento scorrevole, soprattutto nella parte dedicata a Federico. Il ritmo delle frasi. Qualche riflessione sul rapporto uomo-donna.

Tutto qui? No, direi di no. Ma faccio fatica a razionalizzarlo finché, terminato il romanzo, non mi avvento anche sul nutrito paratesto della mia edizione (gli Elefanti di Garzanti): “Giorgio Scerbanenco: una cronologia” (a cura di Nunzia Monanni, ultima compagna dello scrittore), e la prefazione di Ermanno Paccagnini.
Soprattutto la prima mi è stata di grande aiuto: si tratta sostanzialmente di una nutrita biografia dell’autore, accompagnata dagli articoli che egli stesso pubblicò sotto il titolo Viaggio di una vita su «Novella» nel 1958. Da queste pagine ho scoperto che Non rimanere soli è in buona parte un romanzo autobiografico, soprattutto nella parte dedicata a Federico. Come il suo creatore, infatti, Federico è alto, autodidatta, pieno di sensi di colpa verso una madre malata, innamorato prima di una certa Milla Clas, e poi di una certa Mutti dai capelli rossi, rifugiato in Svizzera durante la guerra… Si direbbe che l’autore, componendo quest’opera, abbia inventato ben poco.
Cosa ne dovrei concludere? Che Scerbanenco manca di inventiva, che a sbrodolare i fatti propri sono bravi tutti? Che quello di raccontare la propria vita cambiando i nomi (qui tra l’altro l’autore non si scomoda neanche a cambiarli tutti) è un trucco usurato e poco onesto?

No, non direi. Almeno non stavolta. Perché questa storia ha dentro qualcosa di onesto, qualcosa che ha il sapore di una confessione… Ma non una confessione piena di rimpianti e commiserazione. Piuttosto un racconto lucido su qualcosa di sentito, di conosciuto da dentro.
E allora perché non raccontarlo. Questo qualcosa di vero si sente, al di là di qualche debolezza della trama.

Diciamo che adesso vorrei sapere come Scerbanenco abbia affrontato gli altri (numerosissimi) romanzi… Penso che presto attaccherò  Venere Privata per togliermi la curiosità!

1 commento:

  1. Bella recensione Giulia! Io ho cominciato ad adorare Scerbanenco leggendo le sue opere più note, quelle di Duca Lamberti e di una Milano noir e tragica. Ricordo di essere rimasto folgorato dalla sua capacità di dare spessore ai personaggi con pochi ed essenziali tratti. Da lì il recupero di tutti gli altri suoi romanzi, così diversi ed eterogenei. In tutta onestà mi chiedo se sarei rimasto così entusiasta se avessi cominciato da "Non rimanere soli". Forse sì, forse proprio per quella lucida onestà che hai colto anche tu. Per togliermi il dubbio resterò in paziente attesa della tua recensione di "Venere privata". Alla prossima!

    RispondiElimina