Un classico
elegiaco
Anche l’ultima recensione di quest’estate (lo so,
siamo in autunno, gli eventi mi hanno travolto, sono in ritardo…) è dedicata a
un libro decisamente impegnativo. Non è facile riordinare le idee; so che corro
il rischio di scrivere ridicole banalità. E su un classico come Il giuoco delle perle di vetro proprio non mi
sembra il caso. Ma ci provo lo stesso.
L’opera appare complessa fin dalla sua struttura:
inizialmente, si incontra una introduzione alla storia del gioco delle perle di
vetro. Segue la biografia di un maestro di questo gioco, tale Joseph Knecht
(che significa “servo”, nome più che parlante). Infine, come in appendice, sono
posti gli scritti di Knecht stesso.
Sfoglio il libro e per un attimo credo di
potermela cavare con poco, leggendo solo la parte centrale. Ma poi mi dico che
di questo strano gioco in fondo non so niente, e che forse è il caso di
comportarsi da lettrice diligente, e di procedere con ordine.
Il giuoco
delle perle di vetro è il romanzo della vecchiaia di Hesse, frutto di una
faticosa gestazione portata avanti negli anni della seconda guerra mondiale. Egli stesso,
infatti, affermò in seguito che scrivere quest’opera era stato come “procurarsi una boccata
d’aria respirabile in mezzo al gas velenoso”.
Ma proprio a causa della forte critica al nazismo,
che ovviamente non poteva essere esplicitata nel 1943 (anno della prima uscita
del Giuoco), l’autore ambienta il
romanzo in un tempo e in uno spazio completamente indefiniti (alcuni hanno
ipotizzato una Svizzera del 2200, ma personalmente trovo queste speculazioni del
tutto inutili).
In questo futuro senza coordinate, la
mediocrità della cultura dell’età moderna (definita impietosamente “era della
terza pagina”) è stata finalmente sconfitta. Essa è ormai totalmente affidata alla
Castalia, un esiguo gruppo di eletti, che coltiva il piacere delle arti e del
sapere fine a se stessi. Il mondo rispetta (e mantiene) questi studiosi, perché
riconosce la loro importanza, o forse solo perché li considera un piacevole
lusso.
La somma manifestazione di questa cultura è il gioco
delle perle di vetro, una specie di esercizio di corrispondenze tra le arti,
una sorta di supercruciverba ad altissimo livello. Chi lo pratica accede ai più
segreti richiami che governano l’universo e ne trae un meraviglioso godimento…
Ma poi? Qual è il senso di questo comprensione, se
la si impiega solo nel claustrofobico mondo della Castalia?
È quello che si chiede anche Joseph Knecht. Per
tutta la durata del suo stupefacente percorso, il protagonista del
romanzo è tormentato da questa ricerca di senso. Al centro dell’opera sta
dunque il tema della vocazione, della necessità di stare nel posto e nel ruolo a cui si è chiamati…
Per quel che mi ricordo, questo elemento era fondante
anche in Narciso e Boccadoro. Tuttavia,
qui, lo spirito di avventura e la simpatia di Boccadoro hanno ceduto il passo alla perfezione senza
macchia di Joseph Knecht, un personaggio talmente ineccepibile da aver ragione anche
quando si pone al di sopra di ogni legge.
Mio padre dice che lui, leggendo, sentiva
moltissimo la sofferenza e il tormento di questo personaggio, sempre capace di obbedire alla propria “chiamata”. Non posso
affermare lo stesso. La preziosa introduzione di Hans Mayer, che apre la mia edizione
Meridiani (tanto per vantarmi) mi ha effettivamente aiutato a riconoscere che
la figura di Knecht è molto più sfaccettata di quello che sembra, tesa da un
lato all’amore per la cultura fine a se stessa, e dall’altro animata dalla
ricerca di un posto nel mondo, tra gli uomini… E ovviamente questi
temi sono per me più che mai sentiti. Eppure, nonostante questo, ho fatto fatica ad appassionarmi. Nell’introduzione si parla di “tono elegiaco”; condivido pienamente. Insomma, banalizzando, concluderei che è stata un'esperienza interessante, ma non esattamente coinvolgente. Un ottimo romanzo per la mia testa.