Viaggio dell’anima
Credo di aver comprato Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta per una
specie di richiamo del destino. Altrimenti non si spiegherebbe perché gli
autorevoli e lontanissimi consigli di un amico della mia tardoadolescenza,
turbato e illuminato da questa lettura, mi siano tornati in mente all’improvviso
una mattina all’alba, spingendomi ad acquistare e cominciare in tempo zero la
lettura, pigramente rimandata per tanti anni.
In effetti, questo libro mi ha parlato nel
profondo, drammaticamente oscurando il mio senso critico. E così, mentre cerco
di scrivere cose obiettive, mi accorgo che del racconto non ricordo già più
niente. Solo i pensieri che mi ha fatto nascere dentro. E mi chiedo se possa
avere un valore raccontarli qui, in questo ennesimo tentativo di interpretare
le nuvole.
Che cos’è la Qualità? Se lo chiede ossessivamente
il protagonista-autore del romanzo, mentre, in sella alla sua moto, attraversa
gli Stati Uniti in compagnia del figlio Chris. Questa domanda in passato l’ha
portato oltre il limite della follia, ha distrutto la sua vita e cancellato i
suoi ricordi. La sua mente, riportata all’ordine a suon di elettroshock,
dovrebbe starle prudentemente alla larga. Eppure il tarlo della Qualità torna
fuori, e gli si ripropone insistentemente anche durante questo viaggio, che
dovrebbe essere una bella vacanza padre-figlio, e invece si trasforma
nell’ennesimo viaggio in profondità, alla ricerca del senso.
Perché si tratta di questo, in fondo. La
differenza fra capire e non capire, tra sapere come funziona una moto e non
saperlo, tra chi si accanisce nella ricerca, anche oltre il limite del buon
senso, e chi si accontenta di lamentarsi blandamente, determina la Qualità.
Cosa vuol dire allora vivere secondo la Qualità? La risposta sembra essere: cercare, farsi delle
domande, saper andare in profondità. Anche a costo di farsi male.
Nel suo viaggio alla ricerca di se stesso e dei
suoi ricordi, il protagonista ripercorre il proprio cammino. È un cammino che è
partito dalla scienza, è passato per la retorica, la filosofia, ed è approdato
– infine – alle motociclette. Sì, perché la motocicletta, con i suoi meccanismi
solo apparentemente complessi, è, per l’autore, la metafora perfetta della
Qualità, intesa come il principio fondante che riunisce soggetto e oggetto, mente
classica e mente romantica.
Attraverso la motocicletta, e più in generale con
la sua ricerca, Pirsig compie, insomma, un tentativo di riconciliare arte e
scienza, passione e ragione, mithos e logos... Nel tentativo di ricomporre
questa frattura la sua mente vacilla pericolosamente. Cosa lo salva? Qui viene
il bello. Lo salva suo figlio. La risposta definitiva a tutte le sue domande ossessive
è sempre stata lì, in viaggio con lui, aggrappata alla sua schiena.
Una volta afferrata questa semplice verità, il nodo
si scioglie, e il romanzo finisce. Leggendo, in un primo momento, mi è sembrato
che questa risposta fosse un po’ semplicistica. Ci ripenso oggi,
quasi a freddo, e mi pare tutto il contrario: la conclusione non è
semplicistica, è semplice! È quando smette di arrovellarsi su se stesso, sulle
proprie pur urgentissime e legittime questioni, nell’esatto momento in cui si apre
all’altro, che il protagonista si salva. Non nella risposta metodica alla
domanda insistente, ma nell’abbandono alla relazione. E dopo aver scoperto questa
pace, effettivamente, non c’è più niente da dire.
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