domenica 15 giugno 2014

Recensione #54: Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta

Viaggio dell’anima

Credo di aver comprato Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta per una specie di richiamo del destino. Altrimenti non si spiegherebbe perché gli autorevoli e lontanissimi consigli di un amico della mia tardoadolescenza, turbato e illuminato da questa lettura, mi siano tornati in mente all’improvviso una mattina all’alba, spingendomi ad acquistare e cominciare in tempo zero la lettura, pigramente rimandata per tanti anni.
In effetti, questo libro mi ha parlato nel profondo, drammaticamente oscurando il mio senso critico. E così, mentre cerco di scrivere cose obiettive, mi accorgo che del racconto non ricordo già più niente. Solo i pensieri che mi ha fatto nascere dentro. E mi chiedo se possa avere un valore raccontarli qui, in questo ennesimo tentativo di interpretare le nuvole.

Che cos’è la Qualità? Se lo chiede ossessivamente il protagonista-autore del romanzo, mentre, in sella alla sua moto, attraversa gli Stati Uniti in compagnia del figlio Chris. Questa domanda in passato l’ha portato oltre il limite della follia, ha distrutto la sua vita e cancellato i suoi ricordi. La sua mente, riportata all’ordine a suon di elettroshock, dovrebbe starle prudentemente alla larga. Eppure il tarlo della Qualità torna fuori, e gli si ripropone insistentemente anche durante questo viaggio, che dovrebbe essere una bella vacanza padre-figlio, e invece si trasforma nell’ennesimo viaggio in profondità, alla ricerca del senso.
Perché si tratta di questo, in fondo. La differenza fra capire e non capire, tra sapere come funziona una moto e non saperlo, tra chi si accanisce nella ricerca, anche oltre il limite del buon senso, e chi si accontenta di lamentarsi blandamente, determina la Qualità. Cosa vuol dire allora vivere secondo la Qualità? La risposta sembra essere: cercare, farsi delle domande, saper andare in profondità. Anche a costo di farsi male.
Nel suo viaggio alla ricerca di se stesso e dei suoi ricordi, il protagonista ripercorre il proprio cammino. È un cammino che è partito dalla scienza, è passato per la retorica, la filosofia, ed è approdato – infine – alle motociclette. Sì, perché la motocicletta, con i suoi meccanismi solo apparentemente complessi, è, per l’autore, la metafora perfetta della Qualità, intesa come il principio fondante che riunisce soggetto e oggetto, mente classica e mente romantica.

Attraverso la motocicletta, e più in generale con la sua ricerca, Pirsig compie, insomma, un tentativo di riconciliare arte e scienza, passione e ragione, mithos e logos... Nel tentativo di ricomporre questa frattura la sua mente vacilla pericolosamente. Cosa lo salva? Qui viene il bello. Lo salva suo figlio. La risposta definitiva a tutte le sue domande ossessive è sempre stata lì, in viaggio con lui, aggrappata alla sua schiena. 
Una volta afferrata questa semplice verità, il nodo si scioglie, e il romanzo finisce. Leggendo, in un primo momento, mi è sembrato che questa risposta fosse un po’ semplicistica. Ci ripenso oggi, quasi a freddo, e mi pare tutto il contrario: la conclusione non è semplicistica, è semplice! È quando smette di arrovellarsi su se stesso, sulle proprie pur urgentissime e legittime questioni, nell’esatto momento in cui si apre all’altro, che il protagonista si salva. Non nella risposta metodica alla domanda insistente, ma nell’abbandono alla relazione. E dopo aver scoperto questa pace, effettivamente, non c’è più niente da dire. 

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