martedì 6 agosto 2013

Recensione #44: Le correzioni

Correzioni per le mie vacanze

“Prossima fermata: Malnate.”
Malnate? Sono seduta su questo treno da più di un’ora e sono a Malnate? Possibile che nel 2013 un treno impieghi due ore per andare da Milano a Laveno? E soprattutto: possibile che io stia sprecando il mio primo giorno di vacanza a Malnate, in carrozza con due spacciatori, un tamarro che ascolta Rihanna e una famiglia di napoletani obesi che giocano a ramino?
Una voce nella mia testa dice che me lo merito: così imparo a voler organizzare sempre tutto. Incastro ogni giorno mille impegni al secondo e poi butto via la prima mattina di vacanza per un errore da principiante come sbagliare treno. È una specie di punizione freudiana – continua la voce –  una dimostrazione del mio limite, raggiunto e ampiamente superato in queste estreme settimane di lavoro.
Il paesaggio fuori scorre troppo lentamente e io mi chiedo se a parlare sia la mania del controllo frustrata, oppure l’influenza del libro che ho appena finito di leggere.

Ho letto Le correzioni per via del mio capo. Il suo entusiasmo per questo romanzo ha risvegliato in me la presuntuosa convinzione – subito trasformata in desiderio – che i gusti letterari siano la cifra per scoprire i segreti di un carattere. Inutile dire che da questo punto di vista la lettura è stata una vera delusione. In compenso, mi ha lasciato addosso un approccio problematico alle questioni più banali che  – come si è visto –  minaccia di rovinare le mie striminzite ferie.
Chissà che sbrogliarne la matassa non mi aiuti a sentirmi meglio.

Fino a cinquanta pagine dalla fine, avrei detto che Le correzioni era una critica feroce alla mentalità perbenista e ipocrita della borghesia americana, che puntualmente naufraga nel pietoso tentativo di “correggere” quanto si distacca dai propri rassicuranti modelli di riferimento. Un tema interessante, soprattutto se trattato con lucidità, ma anche trito e ritrito, oltre che, almeno per me, non particolarmente vicino. Terminata la lettura, però, e versata qualche vergognosa lacrima tra gli ostili sconosciuti in questo treno, archiviare Le correzioni come un ben costruito romanzo a tesi mi pare un poco riduttivo. Perché in questo romanzo, prima della tesi, c’è una storia, viva e pulsante. La storia dura e impietosa di cinque persone che formano una famiglia. La storia delle loro relazioni e delle influenze pesantissime che queste relazioni hanno sulle loro vite. Una riflessione acutissima su come, per quanto si lotti, non si può sfuggire alle proprie origini e forse addirittura al proprio destino, nel senso greco e tragico del termine. Per tutto il romanzo, vediamo i personaggi impegnati a lottare per “correggere” se stessi e gli altri: i figli non vogliono essere come i loro genitori e i genitori non vogliono essere – né tantomeno apparire – poveri, vecchi, malati, lussuriosi, malpensanti, infelici. Pagina dopo pagina, tutti e cinque eroicamente si battono per essere diversi da quello che sono. Come va a finire la storia? Molto realisticamente, che alcuni ci riescono e altri no. Qualcuno si rassegna, smette di volere una vita perfetta e accetta – come i migliori eroi tragici – la propria sorte. Qualcun altro invece continua a lottare, ben oltre il senso del ridicolo, fino alla fine.


“La sola cosa che non dimenticò mai fu come rifiutare.”

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