Le infinite meraviglie
del Conte
Il triste giorno della recensione è arrivato.
Dico triste non tanto (o non solo) perché la mia
pigrizia scalpita al pensiero della sana fatica che comporta il riordinare le
idee a fine lettura, quanto per la fine della lettura in se stessa.
Ho ritardato questo momento quanto ho potuto. Dopo
le prime forsennate settimane, ho decisamente rallentato il ritmo; negli ultimi
giorni non leggevo praticamente più… la sola idea di abbandonare ll conte di Montecristo mi sembrava
triste.
Siamo di fronte a un fenomeno piuttosto raro,
almeno per me: in genere, la fretta di finire mi spinge a macinare le pagine
senza pietà e senza scrupoli. Di solito - anche se mentre lo scrivo mi sembra
stupido - non vedo l’ora di finire un libro per archiviarlo, metterlo tra i
miei doveri compiuti, e passare ad altro.
Con il Conte,
invece, è stato tutto diverso. Il Conte è
stato una sorpresa continua.
Ed è così che vorrei costruire questa pagina,
stasera. Scarto senza dubbio l’ipotesi di un’analisi approfondita (non ne sarei
in grado, e in ogni caso non sarebbe questa la sede), per concentrarmi sui
pregiudizi che questa lettura ha scardinato. Parlo troppo di me? Può darsi. Ma credo
che anche il riflesso di un’opera sui suoi lettori
possa in qualche modo illuminare l’opera stessa.
Innanzitutto, l’approccio. Mi sono avvicinata a
Dumas con diversi pregiudizi. Nonostante l’appassionata sponsorizzazione di
Latti, e la pur piacevole lettura di La regina
Margot dell'estate scorsa, qualcosa
dentro di me mi diceva che ll conte di
Montecristo era un mattone troppo pesante per le mie forze. Che non avevo
più l’età né il tempo per dedicarmi a un libro così alto, per di più in piena
vita lavorativa. Che poi il romanzo ottocentesco ormai mi suona sempre un po’ datato,
come i film in costume. Insomma, mi sono imbarcata nell’impresa certa che ci
sarei rimasta impantanata per dei mesi. Come dicevo, avevo sbagliato su tutta
la linea: le avventure di Edmond Dantès mi hanno completamente conquistato fin
dalle prime pagine.
Fin qui, niente di speciale: so bene di avere l’entusiasmo
piuttosto facile (quanti libri acquistati dalla copertina…). Ma ahimè – chi mi
conosce lo sa - la mia ira è davvero funesta quando a un inizio folgorante
segue un intreccio zoppicante, quando la trama si sbrodola… Era facile aspettarsi
qualcosa del genere da un malloppo come questo. Ma anche su questo fronte Dumas
non mi ha deluso: le sue pagine sono puro intrattenimento, molto meglio dei
telefilm. La trama è complessa e calcolata fino alla fine, il ritmo tiene
perfettamente.
E c’è di più. Il Conte regala emozioni anche sul finale. Non solo perché – ormai l’abbiamo
capito – Dumas è un maestro della narrazione e non cadrebbe mai nel banale
errore di un colpo di scena, o peggio ancora, di una moraluccia pretenziosa. Sul finale, il tono si innalza. Non siamo più davanti alla travolgente
avventura degli inizi, all'indignazione e alla tensione mirabilmente tenute
vive per mille e passa pagine. Sul finale vediamo emergere la riflessione sull'uomo,
che riesce a essere profonda senza dispensare verità da quattro soldi. Una
riflessione che è credibile e per questo non cade nel moralismo.
E così, quando ormai sono completamente
conquistata, quando ormai il Conte ha
vinto ogni mia resistenza, mi ritrovo a salutarlo a bordo libro. Per questo, stavolta,
il giorno della recensione è un giorno triste.