lunedì 28 gennaio 2013

Recensione #34: La profezia dell'armadillo


Un armadillo per amico

Domenica scorsa, ho dato appuntamento al mio amico Bebo al solito semaforo di Viale Caldara. Uscendo, per una volta, mi sono ricordata che dovevo rendergli il suo Polpo alla gola. Anche perché così avrei potuto chiedergli il primo di Zerocalcare.
Arrivando da in fondo alla strada, ho visto che teneramente mi aveva anticipato: aveva già in mano La profezia dell’armadillo (tra l'altro, se continua ad essere così premuroso, prima o poi diventerò una vera esperta di fumetti).

Come dicevo, La profezia è il battesimo editoriale di Zerocalcare. Autore di cui a questo punto posso definirmi una fan a tutti gli effetti. Devo dire che, rispetto a Un polpo alla gola, quest’opera ha infatti una freschezza e un’efficacia davvero sorprendenti.
Si tratta di centotrentasei tavole, di quelle che di solito Zero pubblica sul suo blog. Scene di vita vissuta, schegge di filosofia pop, massime generazionali e quant’altro. Tutto chiaramente condito da tanta sana e piacevolissima ironia. Ma il bello è che tutti questi frammenti sono sottilmente legati insieme in una storia che “a me mi stava in gola da un sacco di tempo e quando finalmente l’ho vista in carta ed ossa per poco non mi prendeva un coccolone”. Una vicenda seria e inaspettatamente dolorosa, che ha a che fare con la crescita, le relazioni, la solitudine, la morte. Niente risposte sul senso della vita, sia chiaro. Ma riconoscere serietà e soprattutto sensibilità in un autore che ha un armadillo al posto della coscienza non è affatto male. Come dire che per essere acuti non è necessario prendersi sul serio.  

L’espediente narrativo utilizzato da Calcare è dare ai caratteri minori e ai loro pensieri l’aspetto di animali e personaggi più o meno esilaranti: dalla mamma Lady Cocca, al papà padre di Kung Fu Panda, al suo spirito strategico incarnato da Leonida di Trecento. E poi c’è l’armadillo, che, come dicevo, è una specie di incarnazione della paranoia del protagonista. Per dirla con le parole del retro di copertina dell’edizione Bao Publishing: “Si chiama profezia dell’armadillo qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli. Amen”. L’armadillo accompagna Zero nelle sue avventure, e lo spinge alla pigrizia e all’immobilità. Lo convince a non dichiararsi alle ragazze (in questo caso, prende le sembianze del Guardiano del Tempismo) perché “non è il momento giusto”; a non aggiustare il pc, affidandosi ad un improbabile “dio del giorno dopo”; a non ascoltare l’enorme disagio della sua amica Camille, infine,  per l’occasione interpretato da un enorme mostro nero e silenzioso, con cui l’armadillo dagli occhi sgranati tenta invano di fare amicizia.

Ma qual è, ora della fine, il segreto di quest’opera?
All’università una volta ho studiato (in uno di quei diecimila saggi di Spinazzola, che i miei compagni di corso riconosceranno sicuramente) che i lettori conoscono essenzialmente due tipi di piacere: il piacere di scoprire qualcosa di nuovo, e il piacere di ritrovare qualcosa di noto. Ecco, Zerocalcare è bravissimo a procurare questo secondo tipo di sensazione: leggendo La profezia dell’armadillo si ritrovano un sacco di cose. A cominciare dai miti pop della mia generazione, fino al senso di inadeguatezza per la morte di un amico.

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