giovedì 30 gennaio 2014

Incursioni musicali:episodio #13- Tom Petty



Questa volta non ho proprio scuse: la mia latitanza da Nefelomanzia è imperdonabile e merita una punizione corporale d’altri tempi (la mia vena autodistruttiva emerge improvvisa e violenta come sempre).

In realtà, credo di stare espiando i miei peccati intrappolata per lunghi pomeriggi in nel traffico della tangenziale o in circonvallazione. Pensateci bene, prendete la cartina di Milano, guardate le tangenziali, e poi le varie circonvallazioni fino ad arrivare a quella più interna. Aggiungeteci un effetto 3D, fate sprofondare un po’ piazza del Duomo e… ops… ecco a voi i gironi dell’Inferno Dantesco! 


Insomma, sto pagando la mia colpa, ve lo garantisco!

La mia auto, una Punto grigia bistrattata dai miei studenti, ha tante qualità e un piccolo difetto. Lo stereo, incorporato, legge solo CD audio, niente MP3. In altre parole, il mio cruscotto è completamento ricoperto di almeno un’ottantina di dischi trasparenti: gioia degli amici che si dilettano a cercare la giusta colonna sonora di ogni viaggio, e disperazione dei miei genitori che con l’immancabile “Devi nascondere questi CD, ti spaccheranno l’auto per rubarteli!”, provocano il mio altrettanto immancabile “V*” ( la censura è d’obbligo!)

La vera domanda è: cosa ascoltare quando, soli in auto, si va avanti a passo d’uomo o si è completamente bloccati per strada?

Non è detto che l’artista del momento sia sempre la risposta giusta. Per me, per esempio, non lo è quasi mai. 

Per un po’ ho provato con gli Smiths, con la loro capacità di creare un clima quasi meditativo. Così, in quelle splendide occasioni, in cui si è completamento fermi ed si ha la netta sensazione di non avere alcuna via di fuga,   “Please, please, please let me get what I want”   o “Bigmouth Strikes Again”  hanno il giusto sound “quieta-animi”. 

Negli ultimi tempi però, tra la mia razionalità che mi fa dire “Non c’è niente da fare, puoi solo stare qui in coda ed aspettare” e il mio animo mediterraneo e focoso che mi fa imprecare, non scorre, come dire, buon sangue. 
Ovviamente anche la scelta musicale ne risente, e la mia insoddisfazione non fa altro che aumentare causando schizofrenici andirivieni tra Norah Jones e i Foo Fighters.
 
Poi, l’ho trovato: tra i cd a portata di ladro, ecco un’antologia di Tom Petty.  

Un’artista tradizionalmente rock, con ritornelli orecchiabili e arrangiamenti sofisticati, in grado di  modulare la voce per urlare lo sdegno, o sussurrare l’amore;  tante chitarre e testi elegiaci che raccontano storie di ultimi e perdenti.
Per cui “Some days are diamonds, some days are rocks, some doors are open, SOME ROADS ARE BLOCKED” (Walls- 1996)
Insomma, solo del sano rock americano può salvarmi dalla mia battaglia interiore e raccontare le mie “Psycotic reaction”!

Soundtrack: “Walls (circus)”, Songs and Music from She's the one", 1996


Soundtrack:  “Learning to fly”, Into the Great Wide Open, 1991

mercoledì 22 gennaio 2014

Recensione #48: E non disse nemmeno una parola


Un romanzo che "tocca il cuore"


Ho pensato molto al destino della Nefelomanzia, ultimamente. Non è passato giorno senza che il senso di colpa mi ricordasse che non stavo scrivendo da mesi e che i libri non recensiti si stavano accumulando, e che cominciavo a dimenticarne i dettagli... sono arrivata a pensare che non ci fosse più posto per la scrittura nella mia nuova vita adulta da lavoratrice a tempo pieno (perché nel frattempo il famigerato “lavoro vero” l'ho trovato), con una casa a cui badare e un marito (è ancora così strano scriverlo) a cui vorrei dedicare sempre più energie di quelle di cui dispongo.
Insomma, mi ero quasi convinta a lasciar perdere, anche se questo significava venir meno alla lista dei miei buoni propositi dell'anno scorso, che prevedevano anche il mantenimento della mia vena letteraria, oltre al matrimonio al lavoro e agli amici; ma del resto una deve anche saper riconoscere il proprio limite. E fermarsi, quando la giornata è finita; forse.

Poi ho letto un libro che mi ha "toccato il cuore" (per usare un'espressione del protagonista). E, improvvisamente, con un'urgenza che avevo quasi dimenticato, ho cominciato a scrivere. 

E non disse nemmeno una parola è un romanzo bellissimo e straziante del premio Nobel Heinrich Boll. L'ho acquistato con un click su Amazon qualche giorno fa, nel corso della mia consueta caccia al romanzo novecentesco a buon mercato. Il nome dell'autore (lo stesso delle amatissime e forse altrettanto toccanti Opinioni di un clown) e il prezzo di copertina mi hanno convinto a procedere e ad avventurarmi nella lettura nei miei soliti trasbordi casa-lavoro, lavoro-pranzo, pranzo-lavoro, lavoro-casa. Il risultato è che il mio umore è precipitato e che da una settimana non mi sogno neanche di prendere la bici, perché in ogni momento libero voglio leggere. Leggere la storia tremenda di Franz e Kate, sposi consumati dalla povertà e dallo squallore della Germania del dopoguerra. Sposi che non riescono a convivere senza picchiare i loro figli e senza ubriacarsi per la rabbia, che poi fanno i debiti per incontrarsi in luride stanze d'albergo in cui parlare in pace.

E non disse nemmeno una parola è il racconto di due giorni della loro vita infelice, condotta tra dolore, meschinità e miseria. Boll dimostra ancora una volta una durezza e una lucidità nel raccontare dolore e bassezze umane che non possono lasciare indifferenti. Come ci riesce? Forse perché neanche lui, come i suoi personaggi, può rassegnarsi definitivamente al male. Così il romanzo diventa anche racconto della potenza di un sentimento che non si consuma, di una relazione che non si spezza, e che sa riportarsi a qualcosa di più alto. Una storia di fede e di preghiera, a dispetto della corruzione e della mondanità della chiesa e della debolezza stessa dell'uomo. Un'opera faticosa, insomma, che non risparmia nessuna angoscia al lettore. Ma che, proprio per la sua onestà, alla fine regala la speranza autentica di un futuro (non per niente, l'opera si conclude con la parola “casa”, intesa finalmente come luogo di accoglienza e non più di dolore).