Giudizi universali dai Monti
Quando, nel corso dell’ennesima deplorevole pausa pranzo
consumata tra focaccia e facebook, ho letto il titolo Addio, Monti, ho pensato a una riflessione sul fallimento di Mario
Monti politico, con tanto di riferimento alla tradizione letteraria, come dire
che in Italia alla fine tutto cambia per rimanere uguale. Invece no. O non
solo. I monti del titolo, infatti, sono quelli del rione Monti di Roma, ovvero lo
splendido pittoresco quartiere, recentemente riabilitato, in cui proliferano caffè
librerie, enoteche e negozietti vintage da soddisfare le ansie anche dei più
accaniti radical chic. Quartiere che, guarda caso, sorge a tre minuti dalla storica
e abbandonata casa di famiglia, meta di annuali entusiasmanti pellegrinaggi e
oggetto del desiderio di ogni uggiosa mattina milanese.
L’attacco di nostalgia è immediato e seguito, nel giro di
tre minuti, da acquisto e inizio lettura.
Domenica pomeriggio. In un supermercato stracolmo di
prodotti biologici e popolato da fastidiosa e variopinta e decisamente troppo
numerosa fauna, il narratore – escort e ghost writer per eccentrici personaggi
del mondo dei media – e la sua esauritissima amica Gloria fanno la spesa aggiornandosi
sulle rispettive vite. Tra bresaola, alcolici e verdure ogm, i due dipingono un
desolante ma vivido affresco sul quartiere, su Roma, e sull’Italia contemporanea, che si
trascina tra feste, marchette, e soprattutto ansia di affermazione. Attraverso i
lunghissimi monologhi dei protagonisti – pallidissimo il tentativo dell’autore
di far sembrare la narrazione un dialogo – al lettore vengono presentate
miserie di ogni sorta: c’è l’economista eccentrico che scrive sui giornali, a
cui le aziende puntualmente pagano le “consulenze”; ci sono gli Affamatori,
lombardi trapiantati a Roma in cerca della Dolce Vita; ci sono le belle signore
di Cortina, l’organizzatrice di eventi in cerca di amici, la redenzione cattolica,
la speculazione edilizia che scommette sulla retorica pasoliniana…
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